Aurélie Jean è una forza, bisognerebbe invitarla a tenere una conferenza all’USI, sarei la prima ad andarci. Sviluppatrice fuori dagli schemi, donna aperta, socievole, molto femminile, non l’hanno mai intrigata i film di fantascienza o di robot, ad appassionarla sono sempre state le conseguenze sociali delle invenzioni tecnologiche e le riflessioni sulla perdita di libertà, sulla selezione degli individui in base a criteri discriminatori o sulla fine annunciata del pianeta a causa di disastri ecologici. In ogni caso, ci dice, il cliché dello sviluppatore informatico asociale, rinchiuso nella sua bolla, indifferente all’abbigliamento e agli aperitivi con gli amici non corrisponde alla maggior parte degli informatici. Nel corso della sua carriera, ha conosciuto sviluppatori raffinati e colti. Ad avvicinarla al mondo dell’informatica sono state la frustrazione e la curiosità per un mondo che appariva incomprensibile e al tempo stesso importante. (Giovani lettrici, se ci siete drizzate le antenne!). Entrambe, sono state buone consigliere e al secondo anno di Scienze della materia alla Sorbona, Aurélie Jean si iscrive a informatica.
L’incontro fatale con l’algoritmica che lei definisce una scienza camaleontica è avvenuto il primo giorno. Camaleontica perché vive all’interno della maggior parte delle altre discipline e delle loro applicazioni. Per alcuni è matematica, per altri è informatica. Intanto oggi tutti associamo gli algoritmi ai social network, al sistema di geolocalizzazione o all’assegnazione dei posti all’università. «Per il grande pubblico – ci dice l’autrice – l’algoritmo è inseparabile dal mondo digitale. Eppure la storia della disciplina risale a molto prima delle applicazioni per smartphone, o anche dei primi microprocessori. Affonda le radici nelle lezioni di logica di Euclide». Non ci addentriamo nella storia dell’algoritmo, per questa vi rimando al libro, vi dico solo che la parola deriva dal matematico, astronomo e geografo persiano al-Khuwārizmī. Della sua definizione abbiamo detto la volta scorsa, oggi definiamo cos’è un algoritmo digitale: «Si definisce digitale un algoritmo che tramite un codice informatico farà eseguire una simulazione o un calcolo su uno o più microprocessori di un computer». Si tratta dunque di algoritmi sviluppati per essere utilizzati da un computer. Pensiamo agli algoritmi di apprendimento profondo, o deep learning, quelli che – dopo un addestramento su milioni di casi – permettono a un programma di identificare in una foto un cane oppure un’auto. Queste reti a causa della loro complessità non possono essere create a mano. Inoltre gli algoritmi digitali sono intrinsecamente evolutivi.
«L’algoritmica non è una scienza statica. E conoscerà uno sviluppo ancora maggiore in futuro con l’avvento di macchine sempre più veloci, ma anche, forse, con la comparsa di nuove logiche, come quella quantistica». Per noi comuni mortali significa rimboccarci le maniche, cercare di capire come funzionano, in che modo impattano sulla società e sulle nostre vite. Resto affascinata quando Aurélie Jean ci dice che i computer, attraverso il potere del calcolo digitale, possono permetterci di capire il mondo o che l’immersione in un mondo virtuale digitalizzato permette di rispondere a domande fino ad oggi rimaste in sospeso. Per usare le sue parole «Il mondo materiale frappone molti ostacoli che ci impediscono di progredire nella comprensione delle cose, e le simulazioni al computer possono aiutare. A formulare previsioni, per esempio. Prendete la meteo: non è osservando le nuvole a occhio nudo che si può prevedere che tempo farà da qui a tre giorni!». Che poi, per una romantica idealista come me saper leggere che tempo farà osservando le nuvole resta la fantasia più bella. Torniamo all’autrice. Aurélie Jean viene scelta per una posizione di post-doc alla Pennsylvania State University. Utilizzerà gli algoritmi per capire la crescita del muscolo cardiaco in laboratorio. Per lei, esploratrice di materiali sintetici, il mondo della medicina è un’assoluta novità ma anche l’occasione per capire quanto il futuro stia nell’interdisciplinarietà, nella capacità di traslare le proprie competenze e di lavorare con persone profondamente diverse da noi. È il 2009, gli Stati Uniti sono in piena crisi finanziaria, Aurélie Jean scopre la meccanica del cuore e per la prima volta incontra i bias… vi aspetto qui per la prossima punta.