L’inchiesta sull’impeachment di Donald Trump è finita, ora si entra nella procedura di messa in stato d’accusa del presidente degli Stati Uniti: i lavori passano alla commissione Giustizia del Congresso, il luogo in cui si sono svolti tutti gli impeachment della storia statunitense, e non dobbiamo più aspettarci testimonianze scioccanti come è accaduto finora. Ci saranno testimoni e audizioni, ma l’obiettivo di questa nuova fase è quello di stabilire se ci sono le condizioni per l’impeachment, cioè se nello svolgimento delle sue funzioni il presidente Trump ha superato i limiti che la Costituzione pone ai suoi poteri.
Per questo sono stati scomodati, sia da parte dei democratici sia da parte dei repubblicani, molti costituzionalisti che parteciperanno alle audizioni. L’approccio tecnico che contraddistingue questa seconda fase non deve spaventare: la questione qui è tutta e sempre politica. Per quanto si possa scendere nei dettagli e nelle interpretazioni giuridiche dei testi, alla fine ci sarà un voto alla Camera – forse entro Natale, ma non è detto – che aprirà o no la terza fase, cioè il voto al Senato. Sono i politici che decidono l’impeachment ed è per questo che fin dall’inizio dell’inchiesta le attenzioni sono rivolte ai repubblicani: se loro cedono, l’impeachment è possibile, altrimenti no.
Perché i repubblicani dovrebbero cedere e incriminare il loro presidente? Questa è la domanda che si pongono tutti, anzi, che si ponevano, perché ora è quantomai evidente che i repubblicani non hanno più tanti dilemmi: stanno con Trump. Basta leggere il documento che hanno pubblicato la scorsa settimana come atto difensivo. A convincerli dell’impossibilità di sostenere il loro presidente c’erano i fatti: la telefonata al presidente ucraino in cui Trump ha detto che avrebbe sospeso gli aiuti militari in attesa di materiale compromettente su un rivale politico (Joe Biden). Tutti i testimoni hanno convalidato questa versione, anche quelli che inizialmente erano o apparivano restii.
Ma quando si è capito che le testimonianze andavano in quella direzione e che i fatti non potevano essere contraddetti più di tanto, i repubblicani hanno scelto di prenderne un’altra, ben sintetizzata da un appunto che si è preso lo stesso Trump: it’s nothing, non è niente. Più la classe diplomatica americana confermava più la risposta diventava: e quindi? Trump potrà aver sbagliato a fare quella telefonata e quella richiesta, ma questa non è materia d’impeachment. Ci sono due filoni nei sostenitori del «non è niente»: chi dice che la comunicazione con Kiev è grave e non avrebbe dovuto esserci, e chi – i pasionari – dice che non c’è niente di male, le relazioni internazionali non sono roba da signorine, si è diretti e si è brutali, e soprattutto così fan tutti. L’esito è comunque lo stesso: non è niente. Una reprimenda è il massimo che ci si può aspettare.
I democratici naturalmente non la pensano così e anzi molti sostengono che vogliano allargare, in questa fase tecnica, lo spettro delle azioni presidenziali da considerare, riciclando anche il Russiagate, quelle 400 pagine in cui le interferenze russe nelle elezioni americane del 2016 erano ampiamente dimostrate ma nelle quali mancava – perché il compito spettava al Congresso – il coinvolgimento presidenziale. Ora che il Congresso ha l’occasione, vuole sfruttarla al massimo, e se la telefonata in Ucraina non vi basta, allora prendete il Russiagate: tutto tranne l’impunità.
Ma la macchina di propaganda trumpiana è già al lavoro: poiché l’Ucraina è un’arma spuntata – sostiene – si cerca di diseppellire un’altra arma spuntata, il Russiagate, lo vedete quanto sono disperati i democratici? Il metodo funziona, non lo scopriamo adesso: l’opinione pubblica americana non si è mossa di un millimetro, gli antitrumpiani continuano a credere che Trump debba essere messo sotto accusa per una quantità di motivi che vanno ben oltre l’Ucraina; i trumpiani costruiscono un muro di donazioni promettenti attorno al loro presidente maltrattato.
Finiremo per parlare dell’impeachment in due modi. I politici diranno che un volano elettorale tanto imponente e funzionante Trump non avrebbe potuto nemmeno sognarlo, soltanto i democratici potevano inventarlo; gli esperti di media studieranno la copertura di queste audizioni come un caso paradigmatico di come l’esperienza del 2016 sia diventata lo standard della comunicazione trumpiana. Per tutti gli altri, non sarà niente.