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L’illusione della coppia aperta

/ 09.08.2021
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,

ho 75 anni e, come te, ho fatto il femminismo. Allora i rapporti con gli uomini erano particolarmente difficili perché noi non accettavamo più la vecchia posizione di sottomessa devozione, volevamo meglio e di più. Eravamo intransigenti e, visto che i partner non avevano alcuna intenzione di cambiare, molte li hanno lasciati tornando single nella speranza di ricominciare con uomini diversi dai precedenti, capaci di rispondere alle nuove esigenze femminili.
Ad alcune, le più fortunate è andata bene, alla maggior parte male perché sono rimaste sole a crescere i figli e spesso a intraprendere penose cause legali per gli alimenti.
Ora mia figlia, cinquantenne sposata da vent’anni e madre di due adolescenti, è venuta da me singhiozzando perché ha scoperto che il marito, che viaggia molto per lavoro, ha avuto una scappatella con una collega, coniugata senza figli.
Lui assicura che è stata una cosa da niente, che il fatto è accaduto accidentalmente, alla fine di una serata in cui tutti avevano bevuto troppo. Ma lei, mia figlia, ne fa una tragedia e vuole separarsi.
Le sembra il caso, dico io, di reagire così nel Terzo Millennio? Care ragazze, basta con la favola dell’amore eterno! Una scappatella non è la fine del mondo, anzi può ravvivare un rapporto sessuale abitudinario e stanco.
Donne svegliatevi! L’amore dura finché dura, poi si cambia registro: liberi tutti!
Che ne dici?
/ Una femminista indomita

Cara «femminista indomita»,

non ti sembra di farla un po’ facile? Quando un uomo e una donna decidono, senza che nessuno li obblighi, di «metter su famiglia», di stare insieme e di avere dei figli, stanno sottoscrivendo, più o meno esplicitamente, un patto di reciproca fedeltà. Il tradimento, comunque avvenga, infrange quell’alleanza provocando in chi lo subisce delusione e umiliazione.

Forse il nostro femminismo è stato rigido e intransigente, ma l’etica delle «scappatelle» non è certo una soluzione. Pensa a cosa accadrebbe se, a parti rovesciate, fosse tua figlia ad andare a letto con un collega. Non credo che il marito sarebbe indulgente nei suoi confronti.

La coppia aperta non ha mai funzionato. Che cosa penserebbero i ragazzi sapendo (i figli sanno sempre tutto) che i genitori si dedicano, indipendentemente l’uno dalla altra, a relazioni superficiali, non per il piacere ma per rianimare il rapporto di coppia, per il «bene della famiglia»?

Di fronte alla scoperta di un adulterio più o meno strutturato, impossibile far finta di niente, continuare come di consueto. Ogni gesto cambia di significato e di senso: le premure di una moglie tradita si trasformano nelle prestazioni di una colf non retribuita: inaccettabili.

Ma anche decidere di troncare tutto, di separarsi per orgogliosa, immediata reazione, è altrettanto sbagliato.
Prima di chiedere la separazione, occorre sostare nel conflitto, darsi tempo per interrogarsi e mediare.
La moglie che accetta senza batter ciglio le avventure del marito finisce per annacquare la relazione, per spegnere ogni passione. In modo altrettanto distruttivo agisce però quella che dice subito: «basta, è finito tutto».

Spesso, sotto le rovine di un matrimonio apparentemente spento , covano braci ancora calde che, se ravvivate, possono rimettere in moto la relazione di coppia.

Evidentemente la scappatella di tuo genero rivela una situazione coniugale di crisi, di stanchezza, di usura. Il matrimonio, come la motocicletta, ha bisogno di costante manutenzione. Invece, ritenendolo ormai garantito, dimentichiamo spesso di occuparcene.

La cosa migliore, placate le emozioni immediate, è parlarne con sincerità, ammettendo, oltre alle responsabilità dell’altro, anche le proprie. Non possiamo pretendere di recuperare lo slancio dei primi tempi ma neppure rassegnarci a una convivenza forzata. Dagli anni settanta molte cose sono cambiate e uomini e donne non stanno più insieme per convenzione ma per intima convinzione. Sono certa che a questa fondamentale conquista è stato decisivo l’apporto del femminismo, il coraggio di cambiare una tradizione che sembrava da secoli immutabile, inesorabile come il destino. Purtroppo nel susseguirsi delle generazioni la consapevolezza del lavoro compiuto è andata smarrita, non siamo riuscite a passare di mano il testimone, a dire alle nostre figlie: noi siamo arrivate sin qui, ora proseguite voi.

Tuttavia, cara «femminista indomita», non possiamo vanificare i risultati della «rivoluzione più lunga» traducendoli nei termini di una commedia superficiale, di una chiacchiera da salotto.

Ce lo chiedono figlie e nipoti alle quali dobbiamo trasmettere una storia dignitosa e un impegno morale sostanziale e profondo. Spero mi capirai, e grazie per aver proposto un problema sottovalutato e una riflessione collettiva troppo presto dimenticata.