Cara Professoressa,
le scrivo dal reparto dove sono ricoverato per Coronavirus. Il peggio è passato, sto meglio.
Nel frattempo mio figlio Michele, di 17 anni, vive in casa da solo. La sua classe è stata messa in quarantena e, per ovvie ragioni, nessuno può andare a trovarlo.
Ora le spiego meglio perché siamo a questo punto.
Rimasto vedovo dieci anni fa con un bambino di sette anni, i miei genitori mi hanno dato una mano ad allevarlo perché io, per lavoro, torno tardi la sera e sono spesso lontano da casa. Michele è cresciuto bene finché, a 14 anni, è stato abbandonato anche dai nonni che, per motivi di salute, si sono ritirati in una Casa di cura. In qualche modo ce la siamo cavata e, due anni fa, ho trovato una compagna che mi ama e che avrebbe voluto venire a vivere con noi. Se non che, appena saputo che Michele è un «ragazzo che ama i ragazzi», si è messa in testa di «guarirlo» insistendo perché prenda appuntamento con un famoso psichiatra che promette la «normalizzazione» di quelli che considera i «devianti». Com’era immaginabile, Michele si è ribellato e la convivenza è saltata.
Per fortuna, durante il mio ricovero, la mia compagna si è sempre occupata del ragazzo lasciandogli i pasti fuori dalla porta e portandogli la biancheria pulita. Ma quello che mi preoccupa è che, finita l’emergenza, tutto tornerà come prima: le pretese di «guarire» Michele si faranno più pressanti e la ricomposizione familiare impossibile. Cosa posso fare? Mi aiuti, la prego. / Covid 19
Innanzitutto non s’immedesimi col Virus. Lei è una persona con una storia, una vita affettiva complessa, una famiglia conflittuale ma ricca di potenzialità.
Il problema da affrontare consiste soprattutto nell’omosessualità di Michele, una disposizione sessuale che, circondata da pregiudizi millenari, è ancora difficile da comprendere e accettare. In proposito la risposta che Freud invia, nel 1935, a una madre che gli chiede di curare il disagio del figlio sono ancora attualissime: «l’omosessualità non è una malattia, né un vizio, né una degenerazione». E, come tale non va condannata e neppure curata.
Eppure non possiamo negare e ignorare le difficoltà della sua compagna e, di conseguenza di lei e di suo figlio. Come sanno i miei lettori, difficilmente consiglio una psicoterapia ma in questo caso sarebbe opportuno che un ascolto maturo e competente riuscisse a sciogliere il groviglio di emozioni che vi unisce e separa. In una situazione di dialogo con un professionista competente e neutrale, lei e la sua compagna potreste esprimere le vostre emozioni e trovare parole adeguate, che non siano «peccato» o «malattia», per comprendere ciò che vi inquieta, senza etichettarlo.
Da parte sua, anche Michele potrebbe aver bisogno di un sostegno psicologico qualora fosse in difficoltà nell’accettare e vivere la sua identità. Non si tratta di cambiare orientamento sessuale ma di vincere l’omofobia che talora alberga dentro le vittime stesse. Il rigetto del diverso ci deriva dalla tradizione e si perpetua nel linguaggio, per cui è necessario assumere un atteggiamento critico nei confronti della nostra mentalità, del nostro modo di pensare, di parlare e di agire.
Michele, quasi maggiorenne, potrebbe andare a vivere da solo conservando però con lei un rapporto filiale: la disponibilità dei genitori non deve mai venir meno: si è padri e madri per sempre. Può darsi che nel frattempo la sua compagna, che in questa emergenza si è dimostrata responsabile e generosa, cessi le ostilità e accetti il ragazzo per quello che è, senza ostinarsi a volerlo cambiare per renderlo conforme al suo ideale.
La nostra identità sessuale è composta di tanti ingredienti: il corpo, le relazioni familiari, il contesto storico e sociale, traumi eventuali e un ambito di segreto e di mistero che non si può mai, sino in fondo, sondare. Nessuno è completamente maschio o completamente femmina. Immagini un metro ove in una estremità si collochi la mascolinità, dall’altra la femminilità. Su questo continuum a ognuno corrisponde una tacca che indica la prevalenza dall’uno o dall’altro polo e, di conseguenza, il tipo di partner desiderato.
Anche chi è eterosessuale conserva una componente di amore per lo stesso sesso che, una volta depurato dalle cariche erotiche, alimenta i rapporti di amicizia, di solidarietà e di cura per cui una forza amorosa neutra circola nelle vene di tutta la società.