Libertà, in rete e in gabbia

/ 23.07.2018
di Franco Zambelloni

Un episodio recente e significativo: nei primi giorni di luglio il sito internet di Wikipedia – uno dei più consultati della Rete, e anche uno dei più utili – ha oscurato la sua home page, prima in Italia e poi in altri Paesi europei, per protestare contro una proposta di legge che il Parlamento europeo si accingeva a votare. L’oggetto in discussione era una nuova direttiva sul copyright intesa a garantire i diritti d’autore: a questo scopo la normativa europea prevedeva che ogni sito dovesse dotarsi di filtri automatici per tutti i contenuti da mettere online e che il consueto copia-e-incolla di un brano (con il successivo rimando al sito interessato) fosse possibile solo sulla base di una licenza. Era inoltre previsto un upload filter – un filtro che impedirebbe di caricare in rete qualsiasi materiale protetto dai diritti d’autore.

La proposta di avviare i negoziati necessari per giungere alla nuova normativa per ora è stata bloccata da una maggioranza contraria, ma non è affossata definitivamente: il Parlamento europeo tornerà a discuterne nelle sedute di settembre.

Il caso è interessante per la contraddittorietà che ne emerge. Quello che la proposta di legge intendeva proteggere è il diritto d’autore; dunque, la difesa di un diritto – il che è appunto il compito di una norma in un regime di libertà. Già alle radici del liberalismo moderno il concetto era stato chiaramente definito da John Stuart Mill, forse il più lucido teorico del nuovo concetto di libertà: nel suo saggio On Liberty (pubblicato nel 1859), Mill asseriva che «l’umanità è giustificata, individualmente o collettivamente, a interferire sulla libertà di azione di chiunque soltanto al fine di proteggersi: il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere su qualunque membro di una comunità civilizzata contro la sua volontà è per evitare danno agli altri». Stando a questa premessa, la tutela del diritto d’autore è dunque una giusta restrizione di libertà al fine di non danneggiare chi ha prodotto qualcosa. Ma anche la protesta di Wikipedia e di numerosi intellettuali è avvenuta in difesa della libertà: il diritto di tutti all’informazione, che oggi la Rete consente con una facilità e un’ampiezza quali non si erano mai date prima dell’era digitale, verrebbe limitato e compromesso, e l’attuale libertà di condivisione potrebbe convertirsi in uno strumento per la sorveglianza automatica e il controllo degli utenti. In più, i costi richiesti per una valutazione preventiva di eventuali violazioni del copyright potrebbero essere sostenuti solo da piattaforme di grandi dimensioni – e questo condurrebbe ad una sorta di controllo monopolistico dell’informazione stessa.

Dunque, la tutela di un diritto conduce a una limitazione di libertà. Cosa tutt’altro che nuova: Norberto Bobbio, scrivendo L’età dei diritti, metteva in risalto come ogni tutela dei diritti comporti necessariamente una restrizione di libertà: nella misura in cui le società sono più libere sono meno giuste, e nella misura in cui sono più giuste diventano meno libere. Il pendolo oscilla tra libertà e sicurezza: lo si è visto chiaramente, anche qui nel Ticino, quando lo scorso giugno si è discusso della proposta di una modifica di legge che, attribuendo più potere discrezionale alla polizia, consentirebbe di sorvegliare, registrare conversazioni, effettuare riprese video, spiare gli accessi a Internet – e tutto questo senza l’autorizzazione preventiva della magistratura. Questo maggior potere poliziesco garantirebbe una maggiore efficacia nella prevenzione di possibili reati, ma violerebbe anche la libertà della vita privata dei cittadini. Sicurezza o libertà? Se si dovesse ricorrere a una decisione democratica, sono propenso a credere che la maggioranza opterebbe per la sicurezza.

Nel Settecento Montesquieu paragonava le buone leggi a delle grandi reti in cui i pesci sono prigionieri, ma si credono liberi; mentre sono cattive le leggi simili a reti tanto strette che fanno subito comprendere ai pesci di essere prigionieri. Ma il secolo di Montesquieu è lontano e i tempi sono radicalmente cambiati. L’incredibile aumento della complessità del mondo d’oggi comporta ovviamente una crescita dell’apparato burocratico incaricato di disciplinare, vigilare e tutelare la libertà riducendone progressivamente i confini. Perciò, come scriveva Ralf Dahrendorf già negli anni Settanta del secolo scorso, «la costruzione della libertà di domani si avvia ad essere diversa da quella di ieri e di oggi».