Liberi tutti

/ 01.06.2020
di Cesare Poppi

Con questa seconda e si spera ultima rubrica intendo concludere il mio contributo ad una futura altropologia del contagio che – certo nella versione certificata della disciplina, non mancherà di produrre quintalate di letteratura. Come i lettori attenti certo hanno notato, il vostro altropologo di riferimento preferisce commentare su terreni storici e culturali distanti nel tempo e nello spazio. Questo poiché la distanza prospettica aiuta a contestualizzare i singoli fenomeni per poi riportarli, come una sorta di calcolo azimutale di sestante, sulla sequenza dei fatti vicini e famigliari. Questa una delle essenze dell’antropologia: rendere ciò che appare lontano e diverso famigliare al fine di rendersi conto di quanto strano possa essere ciò che appare a prima vista ovvio e famigliare. Ci sono però eventi epocali che costringono a riportare lo sguardo sulle coordinate di casa. La crisi globale del CV19 appartiene a quella casistica.

Non saprei esprimermi sul fatto se o meno quanto sta succedendo (e succederà) cambierà in maniera fondamentale usi, costumi, pratiche e tradizioni. Non foss’altro perché tanto i profeti di sventure catastrofisti quanto i loro antagonisti continuisti – quelli ovvero dell’«andrà tutto bene» – concordano nel prendere a misura di quanto il bicchiere sia mezzo vuoto e mezzo pieno il concetto di «normalità». Status quo ante al quale mai più ahinoi torneremo dovendo espiare i nostri peccati di sovrasviluppo per gli uni, laddove per gli altri, passata la nottata, ci sveglieremo dall’incubo con la solita tazzina dell’espresso pronta a farci ripartire. Vedremo. E non è il «vedremo» scettico di chi si può permettere il lusso di filosofare mentre Roma brucia (anche se riconosco che di quelli ce ne sono ormai tanti e in crescita). È piuttosto una sospensione del giudizio che invita in prima battuta a mantenere alto il livello dell’osservazione per individuare sul nascere le eventuali variazioni ad una «normalità» che – francamente – sfugge a qualsiasi definizione poiché ciascuna biografia è unica ed irripetibile. Quale «normalità»? Dove? Quando? Per chi? Una vita, tutte le vite sono stati d’emergenza e di eccezione. Sennò non esisterebbero né dolore né felicità che della «normalità» sono i cronici, Unheimliche freudiani perturbanti.

In secondo luogo, e spero meno filosoficamente parlando, il nostro «vedremo» vuole essere una messa in guardia contro la tendenza in atto da almeno quarant’anni nell’ambito delle scienze sociali del cosiddetto Occidente di attribuire ciò che sono le variabili e le variazioni riscontrabili in ambito culturale (e dunque storico e sociale) a cause naturali. A partire dal successo dell’etologia di Konrad Lorenz per proseguire con la Sociobiologia di Edward Wilson e per finire oggi (ma non è finita) con il best seller di Kyle Harper sulla fine dell’Impero Romano, il determinismo eco catastrofista che vede le disgrazie umane causate dal comportamento umano che innesca la vendetta biologica (spingo la logica dell’argomentazione fino alle estreme conseguenza per tirannia tipografica – al lettore fare la tara) si fa strada a grandi passi nella «lettura» collettiva anche del CV19, la versione contemporanea e parallela della caduta dell’Impero secondo Harper. Ultimo prodotto di questa linea di comprensione di quanto ci sta succedendo è la biologizzazione - ovvero naturalizzazione – dei comportamenti a- e anti-«normali» imposti dalla crisi corrente. Si è cominciato dal concetto di lockdown, «la serrata». Resa necessaria, al meglio delle nostre conoscenze, dalla necessità di ridurre il contatto fisico e dunque le chance di contagio si è presto trasformato – in Fase Due – nella necessità di mantenere «la Distanza Sociale».

Qui si assiste ad un curioso, antropologicamente interessantissimo, gioco delle parti: l’inversione del significato gerarchico, dunque politico e sociale, del concetto della «distanza sociale» per sostituirlo con quello biologico e prossemico della distanza fra i corpi. Per converso, la sostanziale dimensione «biologica» dell’anormale segregazione del lockdown si trasforma in Fase Due in un concetto normativo e giuridico – per quanto ludico ed infantilizzante – così come espresso nel «liberi tutti» che ormai infetta – con le immancabili dispute polemiche – il vocabolario mediatico del Contagio.

Musical Chairs, «sedie musicali» sulle quali ci si siede a caso al mutare della musica: antico gioco di società inglese divenuto espressione che stigmatizza chiasmi e paradossi di una condizione culturale sempre più fluida – o meglio viscosa. Dove il «biologico» ed il «sociale» si ibridano e confondono in maniera preoccupante. Muta random il CV19? Non è un virus «normale»? Glielo faremo vedere noi come si stravolgono i confini della normalità.