L’hotel Paxmontana di Flüeli-Ranft

/ 10.05.2021
di Oliver Scharpf

Balza subito sempre un po’ agli occhi, da queste parti, la quantità di verde rispetto alle case e fattorie. Verde psicoattivo dei prati che m’invoglia, invece di prendere la posta alla stazioncina di Sachseln, a salire a piedi. Il paesaggio agreste di questa passeggiata al centro della Svizzera, a un certo punto incontra, lassù in cima, un curioso hotel tipo castello fiabesco soprannominato da qualcuno «Il Ritz del silenzio». L’hotel Paxmontana, sorto nel 1896, prende il suo attuale aspetto caratteristico, dettato dalle due torri con tetto conico come campanili, nel 1906. Tra Heimatstil e Jugendstil, una grande veranda-ristorante, quattro piani, la bandiera svizzera che svetta, le montagne innevate dietro che risaltano scintillanti. Una di queste, fino al 1956, dà il nome all’hotel – Kurhaus Nünalphorn – fondato da Franz Hess (1865-1948) di Kerns, paesino a quattro chilometri da qui.

Flüeli-Ranft, località panoramica del canton Obvaldo dove m’imbatto, nei pressi del Paxmontana, in un vecchio chalet imbrunito dai secoli e indicato come la casa di Nicolao della Flüe (1417-1487): contadino analfabeta diventato nel 1947 santo patrono della Svizzera. C’è anche la casa dove è nato, però l’attrazione maggiore, meta di pellegrinaggio, rimane il suo eremo giù nelle gole dove scorre la Grande Melchaa. Tra cartelli e souvenir presenti al chiosco, percepisco un’atmosfera da santuario a metà strada tra Ballenberg e Club Med. In sette minuti, scendendo verso il fiume, ecco la cappella nota come Obere Ranftkapelle con una specie di stalla annessa. È l’eremo dove San Nicolao – non c’entra niente con il San Nicolao stile Babbo Natale sull’asinello che il sei dicembre porta mandarini e spagnolette ai bambini nelle scuole ma crea in tanti molta confusione – della Flüe ha digiunato per vent’anni. Quasi tutti gli ex voto appesi sono in legno: alcune targhette con impresse, a fuoco, parole di ringraziamento in caratteri gotici, qualche tronco sezionato con corteccia orribilmente laccata e atroci fiorellini dipinti. Un ritratto, a matita, mostra il volto provato di Niklaus von Flüe noto anche più familiarmente come Bruder Klaus: mi ricorda molto certi tossici ai tempi del Platzspitz. Una scaletta conduce nella scomodissima cella-eremo.

Salto la visita a uno chalet che vende souvenir di Fratello Nic che dopo aver abbandonato moglie e figli si è conquistato un posto d’onore nella mitologia svizzera al pari di Guglielmo Tell grazie a un presunto ruolo come «mediatore federale» nella Dieta di Stans del 1481. E non solo, come risulta dal delirante affresco che si vede, se vi voltate, appena entrati nella Untere Ranftkapelle. Un gigantesco ex voto macabro-grottesco-caricaturale-naïf dipinto nel 1921 dal trio Robert Durrer, Albert Hinter, Hans von Matt per conto dell’Associazione popolare cattolica svizzera. La Svizzera, raffigurata come un’isola-montagna, con ai suoi piedi una marea di teschi – alcuni con maschere antigas, fez, kepì, e molto altro ancora – viene risparmiata dalla prima guerra mondiale proprio grazie a San Nicolao della Flüe. «Ciò che vi è rappresentato è, a dir poco, sconvolgente» scrive Pietro Bellasi a proposito dell’affresco-ex voto sul quale si sofferma a lungo nel suo saggio introduttivo al catalogo della mostra Enigma Helvetia (2008) intitolato L’isola dell’altrove.

Risalgo il Ranft non tornando sui miei passi ma costeggiando il torrente lungo il quale ci sono tanti cairn votivi. E poi su, a caso, per un ripido sentiero tra i faggi che sbuca in cima vicino all’Hotel Paxmontana (728 m). Appena entrato nella camera numero quattrocentonove, già la vista del magnifico balconcino in legno, sotto una loggia, color giallo maionese e rosso ketchup, che si affaccia su un panorama bucolico obvaldese, è a dir poco tranquilizzante. Seduto poi su una delle due sediole in legno e ferro battuto, la vista da lì, ritrovando come l’incanto del palco all’opera, con lo scampanio stordente delle mucche, l’aria pura, è tutta una storia. Perdipiù, al posto della televisione, c’è un binocolo sul tavolo. E potrei dunque raccontarvi ogni minimo dettaglio del panorama un bel pomeriggio ai primi di maggio, come quella macchina d’epoca bianco ostrica che corre tra i campi o i filari di frassini lungo i riali o l’espressione placida di quelle mucche laggiù, la geografia maculata tipica dei boschi che s’intervallano ai prati, l’angolo iperdistensivo del lago di Sarnen, la religiosità degli alberi di melo in fiore. Mi viene anche in mente La finestra sul cortile (1954) di Hitchcock dove James Stewart, grazie al binocolo, assiste a un delitto. Qui sulla sinistra si eleva la torre a campanile e la coppia che mi sorride dal balcone non sembra però un possibile caso criminale, chissà però cosa covano nelle fattorie dei dintorni. 

Opera di Walter Schumacher (1872-1941) e Othmar Schnyder (1849-1928), restaurata qualche anno fa dallo studio di architetti Pfister Schiess Tropeano già incontrato per via di Villa Patumbah, l’hotel Paxmontana tiene alto il suo nome e più che una pace montana mi viene sonno. Ispirato da «san Niklaus von Flüe che visse diciannove anni e mezzo in un eremo senza mai mangiare» come scrive Aldo Buzzi nella Pastina in brodo della pensione presente in L’uovo alla kok (1979), vado a letto senza cena.