L’ex sanatorio Bella Lui a Crans-Montana

/ 07.06.2021
di Oliver Scharpf

Flora Steiger-Crawford (1899-1991), nata a Bombay e detta Flörli, è la prima donna a diplomarsi in architettura al Politecnico di Zurigo nel 1923. Capello corto, frangetta sbarazzina, sguardo chiaro, l’anno dopo sposa un suo compagno di studi, Rudolf – detto Rudi – Steiger (1900-1982), con il quale realizza, insieme anche ad Arnold Itten (1900-1953), il sanatorio Bella Lui a Crans-Montana. Stazione climatica fondata nel 1896 dal tisiologo ginevrino Théodore Stephani, trasformata poi in località sciistica da jet-set la cui rinomanza tocca l’apice forse negli anni sessanta con l’apparizione sulle piste di una bellissima Jacqueline Kennedy o con Jean-Paul Belmondo immortalato in pullover che serve la raclette, deturpata a partire dagli anni settanta da promozioni immobiliari stile jumbo chalet e disneyzzata fino alla nausea, dove cammino ora soffocato da tutta questa bruttezza del benessere.

Meno male, trovo presto, tra larici e pecci, il Bella Lui. Bauhaus, color senape, niente di che da fuori ma appena entro, a metà pomeriggio ai primi di giugno, sono salvo. Respiro di nuovo. Inaugurato il primo giugno 1930, oggi l’ex sanatorio Bella Lui (1525 m) a Crans-Montana, dopo un restauro a regola d’arte, è un ostello della gioventù dove adesso non c’è nessuno. E allora così, deserto e silenzioso, m’investe in tutta la sua bellezza basilare con in più il famoso panorama di montagne innevate, il cielo, e le cime delle conifere che entrano dalle ampie finestre unendosi al meraviglioso mobilio. Le prime percezioni, appena entrato, sono legate all’odore del linoleum. Poi ho notato le porte a vetro in legno dipinto in azzurro ghiaccio e le maniglie sinuose lucide in acciaio cromato che ti conducono, come d’incanto, nella hall-salotto dove ci sono diverse sedie di Max Ernst Haefeli già presenti a suo tempo.

Bene d’importanza nazionale dal 2002, il Bella Lui ha avuto un passato da sporthotel e ospitato alcuni ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento. Il nome con cui è stato battezzato questo edificio di tre piani con pianta a elle disegnato dal trio di trentenni architetti zurighesi, non è una svista per dire «bello lui» o un refuso per l’espressione dello slang giovanile «bella lì». In dialetto desueto vallesano significa «bella luce» ed è anche il nome di una montagna non lontana. La reception apre alle 16.30, ammazzo il tempo in terrazza, svaccato sua una delle spaghetti-chaise longue note anche come Altorfer Stuhl per via del suo inventore, Huldreich Altorfer jr. Prendo il sole. La terrazza-tetto sopra il refettorio, sovrasta il laghetto Grenon.

Mi sveglia il tipo dell’ostello. Non vedo l’ora di entrare nella camera numero uno. L’unica con il mobilio originario disegnato da Flora Steiger-Crawford. La scrivania, in legno verde oliva, con il piano di lavoro laccato in nero opaco è un pezzo da museo. È infatti esposta nella collezione del Museum für Gestaltung di Zurigo. La particolarità è un cassetto, con specchio integrato, che si apre sollevando il piano di lavoro. Anche il comodino ultrabasico, l’armadio per i vestiti, e uno sgabello sono verde oliva, intonati con le pareti beige. Il letto, anche in stile Neues Bauen-monacale, è molto convalescenziale, quasi carcerario. È il Roth Bett 455, disegnato da Alfred Roth nel 1927 per la Embru di Rüti che è la stessa delle sdraio-spaghetti. Ruba tutta la scena però, la finestra a pieni vetri, alta due metri e venti, suddivisa in cinque rettangoli incorniciati da legno verniciato color meringa. Da dove si vede il grande balcone da sogno la cui vista è al riparo dai larici. Spalanco subito la porta-finestra per far entrare l’aria reputata di Crans-Montana e uscire fuori. La vista, al pianterreno, non è delle più spettacolari ma basta e avanza ed è quasi più riposante così. Se volete vedere come si deve il panorama con una trentina di cime innevate tra le quali il Monte Bianco o il Weisshorn con la luce che rimane fino a tardi ad accarezzare la neve, basta salire al terzo piano dove c’è una terrazza sempre con diverse sedie a sdraio tipo spaghetti.

Ceno sulla sdraio sanatoriale disegnata da non so chi, con del polpo alla galiziana portato da casa. E vado a letto con le galline. Il letto, nonostante l’apparenza punitiva, è comodissimo. Cinguettii serali mi sorprendono per somiglianza con il freejazz. Una bella luce tipo Vallotton entra nella stanza. E così, sdraiato nel letto di un ex sanatorio elogiato dallo storico e critico dell’architettura Sigfried Giedion e tra l’altro primo edificio in Svizzera a utilizzare un’ossatura in acciaio saldato, mi torna in mente il sorriso di una foto in biancoenero della Flörli morta novantaduenne a Zurigo. Sconosciuta come scultrice, va ricordato il suo straordinario talento, le sue poche sculture lasciano senza fiato. Più che gli effetti benefici della climatoterapia, sento i sintomi di un colpo di sole.

All’alba corro tra gli jumbo chalet addormentati battezzati, alcuni, con nomi insensati che potrebbero ispirare un saggio antropologico o etnologico: Villa d’Este, Valderrama, Montezuma, Residence Corfou. Supero con la giusta rabbia la sabbia da mare, le odiose sdraio in rattan sintetico, e l’orda di Trachycarpus fortunei nei vasi di plastica di un improbabile beach club ai bordi dello stagno catturato con grazia da Hodler nel 1915. Dove laggiù, nonostante tutto, l’orlo dell’acqua si fonde ancora con le montagne sul far del mattino.