Una fine mattina verso la metà di luglio, seduto a uno dei diciotto tavolini fuori dall’ex orangerie neogotica-moresca (570 m) del parc de l’Hermitage a Losanna, sorseggio un tè verde servito in una teiera in ghisa giapponese. Vuillard et l’art du japon è la nuova mostra del museo qui davanti, un tempo villa abitata dal banchiere ed entomologo Charles-Juste Bugnion (1811-1897): committente di questa insolita orangerie del 1857. Tutta di mattoni rossi inglesizzanti, merlata, munita di torre colombaia medievalesca semiricoperta dall’edera, oltre al ruolo di ricovero invernale degli agrumi, svolgeva così dunque anche la funzione di folly. L’elemento per stupire, molto di moda, a quei tempi, nei giardini seri. Un monumentale cedro dell’Atlante qui di fronte, intanto, domina la scena. Laggiù, oltre le chiome degli alberi, agguanto un dito di Lemano azzurrino sfumato e la fila flou di montagne bluastre. Quarantasei passi ed entro nel museo nato nel 1984 grazie alla donazione della famiglia Bugnion. Divagazione necessaria: la mostra su Édouard Vuillard e il giapponismo, raffina lo sguardo. Inoltre, aspettando che si liberasse uno dei tavoli tutti riservati per pranzo, ho gironzolato nel parco e rimarchevole è lo scorcio tra gli alberi – in fondo al prato discendente lasciato in parte selvaggio grazie a una grande e rara sensibilità – dove spunta la cattedrale.
Il tavolino liberato all’ex orangerie diventata il café-ristorante del museo di nome L’Esquisse, è dietro a quello di prima: la sorpresa è un pizzico di lago in più. I mattoni in cotto, qui accanto, mi mancavano già e con le aiuole di fiori, la rosa rampicante, e gli occhi impregnati di pittura Nabi, mi sembra di essere dentro un delicatissimo quadro di Vuillard. Il menu del giorno inizia con un delizioso gazpacho di zucchine e menta. Le fronde argentate dell’ultracentenario Cedrus atlantica si diramano fin quasi all’inizio del praticello introduttivo alla terrazza. Peccato solo per gli ombrelloni-tenda che levano un po’ il gusto di assaporare in pieno tutta la sua maestosità. Lo stesso vale per l’orangerie costruita secondo i piani di Louis Joël (1823-1892), architetto losannese (sindaco di Losanna per un lustro) ingaggiato dal signor Bugnion. Autore tra l’altro della Description de quatres nouvelles espèces de Lépidopterès de la Syrie et de l’Égypte, apparsa nel 1837 sugli «Annales de la societé entomologique de France». Quattro falene, descritte per la prima volta da Charles-Juste Bugnion, il cui ritratto – con sullo sfondo, da una finestra, lo scorcio della cattedrale e l’indice come segnalibro dentro uno dei suoi preziosi volumi in pelle marmorizzata e un altro aperto sul tavolo con diverse farfalle illustrate – è appeso in permanenza nella stanza blu lì al primo piano, all’angolo. Amata mestralii, Agrotis pierreti, Theretra boisduvalii, Clytie syriaca: quest’ultima, «le cui ali sono di colore cenere» scrive Bugnion, oltre alla Siria dalla quale trae il nome, si può trovare in tutto il bacino del Mediterraneo.
Arriva il merluzzo nero au beurre blanc et yuzu, patate novelle, purè di piselli. Ottimo; lo yuzu è il tocco di japonisme che al contempo cade a pennello pure per via dell’orangerie, in contatto con gli agrumi fino agli anni Venti. Quando si converte in abitazione di William Lecoultre, capo giardiniere dell’Hermitage. Rimodernata all’interno nel 1999 da Danilo Mondada – architetto di Muralto classe 1947 con studio a Losanna occupatosi anche dell’estensione (biglietteria-libreria) del museo – da fuori si nota un po’ di colore aggiunto ai vetri dei trilobi gotici nelle arcate delle finestre. Più in alto catturo le sette mashrabiyya alle finestre che le conferiscono l’elemento moresco. Mousse al cioccolato con coulis di frutti di bosco, non posso lamentarmi. Il dettaglio dessert, a cui lancio un ultimo sguardo, è la riga a zig zag di triangolini sporgenti, con relativa ombra, ottenuta con i mattoni di sbieco. Espresso e via, a caccia di altre eccentricità. Come la colonna romana proveniente da Avenches, dimenticata in un angolo boschivo in fondo al parco. Nel 1782 è nel giardino del castello del conte di Affry a Saint-Barthélemy, diciassette anni dopo, in bellavista, si trova in questa tenuta. Fino agli anni Settanta, quando in elicottero la portano dov’è adesso, mettendola in ombra perfetta.