101 Pole Position, 101 Gran Premi vinti, 7 caschi iridati… ma attenzione a Max. Le cifre dicono che il pilota britannico è quello che ha vinto di più nella storia della Formula 1. Oltre a quanto già enumerato, Lewis Hamilton vanta il maggior numero di presenze sul podio: 179 su 285 Gran Premi disputati. Si tratta di una cifra da capogiro, anche alla luce dello scarso numero di corse in cui non ha conquistato punti o addirittura non è giunto alla fine.
Gli altri primati sono solo delle spezie, che danno ancora più sapore al suo palmares da urlo: maggior numero assoluto di punti conquistati (4096,5), maggior numero di punti in una stagione (413 nel 2019), record di Gran premi in cui consecutivamente è andato a punti (49). Più altri spiccioli che fanno godere solo i bulimici delle statistiche.
Perché celebriamo oggi il pilota di origini caraibiche, e non fra qualche settimana, a stagione conclusa? Semplicemente perché, dopo anni di dominio, potrebbe non conquistare il casco iridato. I record sono fatti per essere superati. Così come i campioni, che però resteranno «ad vitam aeternam» nel cuore degli appassionati.
Nel mondo della Formula 1, c’è il nuovo che avanza. Si chiama Verstappen, Max Verstappen. Un ragazzo col Killer Instinct. A 18 anni e 228 giorni è stato il pilota più giovane a salire sul podio. Tuttavia, in quell’occasione, sul circuito catalano di Montmelò, non si è limitato, timidamente, a porre i suoi piedi sul terzo o sul secondo gradino. No, è salito su quello più alto. Superando il record di precocità che apparteneva proprio a Lewis Hamilton. A quattro gare dalla fine, il giovane pilota olandese ha un vantaggio di 14 punti sul rivale britannico. Anche chi, come me, ha disertato per anni le dirette di Formula 1, sente profumo di epos e di pathos.
Lo confesso, mi entusiasmava la Formula1 dell’era Stewart-Fittipaldi, così come quella di Lauda e Regazzoni, e pure i duelli vibranti fra Prost e Senna.
Ma durante l’era Schumacher-Alonso-Vettel, ho fatto fatica a esaltarmi. Per contro, il duello Hamilton-Verstappen mi intriga. Da un lato, l’irruenza trasformata in esperienza, e in sagacia tattica. Dall’altro, la spavalderia e la sfrontatezza condite, a detta degli esperti, da capacità di guida straordinarie. Ingredienti che ci faranno vivere un finale di stagione vibrante.
Mi chiedo se Max riuscirà ad aprire un ciclo simile a quello di Lewis. Ce lo dirà la storia. Storia che invece ci ha già raccontato molto su Lewis Hamilton. Ci ha regalato uno dei piloti più grandi di sempre. Forse il più grande. Ci ha pure fatto conoscere un uomo capace di essere protagonista non solo nell’abitacolo della sua monoposto.
Sin dal suo debutto, il colore della sua carnagione, lo ha portato ad essere paladino delle diversità. Già nel 2007, in occasione di una serie di test in Spagna, i tifosi del suo compagno di squadra Fernando Alonso, con il quale non correva buon sangue, lo schernirono con striscioni e magliette dai toni razzisti. La Federazione Internazionale di Automobilismo diede il via a una campagna di sensibilizzazione intitolata «Racing against Racism». Un’azione che Lewis fece sua, e che lo indusse, in più di un’occasione, durante le interviste, a prendere posizione contro ogni forma di discriminazione.
Alcuni mesi fa, ad esempio, Hamilton si è schierato dalla parte della tennista giapponese Naomi Osaka, espulsa dal torneo parigino del Roland Garros, per essersi sottratta al rituale delle interviste del dopo-partita. Naomi si era giustificata, scrivendo una mail agli organizzatori nella quale menzionava il suo particolare stato di fragilità emotiva, provocata da stress e ansia da prestazione, con la conseguente difficoltà nel presentarsi davanti a telecamere e giornalisti.
Dal canto suo, il pilota aveva solidarizzato con lei, puntando il dito contro un sistema spietato, incapace di rispettare l’individuo. Non è che un esempio della volontà di Lewis Carl Davidson Hamilton di fare leva sulla sua popolarità, e di essere protagonista a 360° della sua era. Predestinato al successo, certo, non a caso la McLaren lo aveva messo sotto contratto già quando aveva 12 anni. Ricco, anzi ricchissimo, ma non per questo rinchiuso nel suo sfavillante mondo dorato. Anzi!