In passato, quando cercavo di visualizzare l’idea di bellezza, mi immaginavo in riva al mare, di fronte ad un luminoso quanto misterioso altrove che mi invitava a seguirlo. Era per me la piena espressione della bellezza dell’invisibile, quella che ti muove dentro e non si consuma nel guardarla o nell’ascoltarne le voci. Ora però non riesco più a provare queste emozioni perché nel mare, a dispetto della sua straordinaria bellezza, da tempo si stanno consumando immani tragedie. L’ennesima il mese scorso, nel canale di Sicilia, a ricordarci, ancora una volta, la vergognosa indifferenza del mondo.
I fatti sono noti. Vorrei solo richiamare le parole durissime della portavoce dell’organizzazione dell’ONU per i migranti Safa Msehli. «Gli Stati si sono rifiutati di agire per salvare la vita di 130 persone. Hanno supplicato, hanno inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?». Detto in altre parole: che ne abbiamo fatto di quell’umanesimo su cui abbiamo edificato la civiltà moderna? Questo interrogativo interpella anche le nostre coscienze quando rimangono silenziose, se non addirittura indifferenti e alla fine in qualche modo anche un po’ complici di simili tragedie. L’eredità dell’Europa, dunque, sembra alla deriva, proprio come i barconi di tanti naufraghi disperati, ben visibili nelle immagini dell’attualità, eppure spesso percepiti come molto lontani dalla nostra realtà e dal nostro mondo interiore.
Vicinanza e lontananza sono un criterio interessante per comprendere il nostro agire morale, le sue fragilità, le sue inquietanti contraddizioni. Attraverso il noto esperimento mentale del «bambino nello stagno», il filosofo Peter Singer ha posto alle nostre coscienze domande assai stringenti. Eccone una breve versione. Un bambino sta per annegare in uno stagno. Un distinto signore lo vede, si getta nell’acqua e lo salva. Le sue scarpe nuove sono da buttare, probabilmente anche gli abiti eleganti, ma non importa, non ha avuto alcuna esitazione. L’esitazione invece si ripresenta quando, con un gesto di generosità, potrebbe contribuire a salvare altri bambini, tanti bambini lontani che stanno annegando nello stagno della fame.
Singer ci interpella sulle contraddizioni di tali comportamenti così ambivalenti. Come dire: perché un’etica double face?
Il tessuto morale della convivenza nasce dal legame con l’altro, un legame che può essere percepito sia nella relazione personale tra individui sia nel sentimento di appartenenza all’umanità.
La vicinanza appartiene ovviamente alla relazione personale e proprio la presenza fisica dell’altro è stata riconosciuta da alcuni filosofi come l’autentico movente dell’agire morale, e questo perché l’esperienza è ritenuta l’origine sia della conoscenza sia delle scelte umane. Per gli empiristi la vicinanza sembrerebbe un movente molto più potente degli ideali della ragione che ci invita a percepire come guida morale un’idea: l’idea forte di una comune appartenenza all’umanità.
La morale della vicinanza si basa sul sentimento di simpatia, una vera e propria forza di gravità capace di regolare armoniosamente i rapporti tra gli uomini. Proprio con questo sentimento di simpatia è stato possibile giustificare anche l’etica del mercato e della concorrenza economica. La percezione visiva dell’Altro ha insomma un forte impatto nel determinare i nostri comportamenti. Anche le teorie evoluzioniste spiegano con la vicinanza fisica la selezione naturale delle emozioni. Emozioni naturali che diventano poi sentimenti culturali come l’empatia, la lealtà, la gratitudine ma anche la gelosia.
Oggi questi argomenti, con cui si è cercato di spiegare le nostre scelte etiche, sembrano non funzionare più. La visibilità, la percezione visiva delle tragedie del mare e di tante altre sofferenze umane è ben presente al nostro sguardo. Li vediamo questi naufraghi disperati, eccome li vediamo in tante immagini che entrano direttamente nelle nostre case. Ma l’impatto visivo non sembra più funzionare come collante etico. Ciò che sembra invece prevalere è una distanza affettiva da cui troppo spesso nasce l’indifferenza. Questo atteggiamento la dice lunga su come l’attuale vicinanza virtuale con il mondo, nonostante la sua totale visibilità, stia depotenziando, se non addirittura soffocando, la nostra sensibilità.
Torno allora alla domanda iniziale: è questa l’eredità dell’Europa? Forse non sarebbe una cattiva idea rimettere in movimento alcuni valori illuministici che ci permettano di continuare a coltivare e a nutrire l’idea di una comune appartenenza alla vita.