Letture, incontri, destini

/ 17.10.2016
di Franco Zambelloni

Evocando in una pagina autobiografica un ricordo d’infanzia, lo scrittore Elias Canetti, che nel 1981 ricevette il premio Nobel per la letteratura, scrisse: «Andavo già a scuola da qualche mese, quando accadde una cosa solenne ed eccitante che determinò tutta la mia successiva esistenza. Mio padre mi portò un libro». Quel libro era una versione per ragazzi della raccolta di racconti, fiabe e leggende Le mille e una notte. A quella lettura Canetti attribuisce la sua nascente passione per i libri e di lì, conseguentemente, la sua vocazione alla scrittura. Non è dunque impossibile vedere in quel libro, dove abbondano anche episodi di magia, una sorta di incantesimo che tracciò il destino di una vita.

Non ho mai creduto che il destino di un uomo sia scritto nelle stelle, e tanto meno credo agli astrologi che affermano di sapervi leggere. Sono però convinto che ogni esistenza umana è costellata di eventi, a volta anche apparentemente irrilevanti, che tracciano una sorta di percorso obbligato che non a torto si potrebbe dire un destino. In primo luogo, vale quanto scriveva Eraclito nel VI secolo a. C.: «Il carattere di un uomo è il suo destino». Non a caso gli antichi greci usavano la parola daimon – demone – anche per designare una voce interiore che induce a fare o a non fare, una sorta di guida nella vita; e daimon significa dunque anche destino. Oggi che le neuroscienze vanno via via scoprendo il funzionamento del cervello, molte tendenze del carattere vengono attribuite addirittura alla formazione cerebrale che si sviluppa durante la gestazione: ogni cervello è reso unico dalla combinazione del patrimonio genetico e della programmazione che avviene durante lo sviluppo all’interno dell’utero; in quella fase, a giudizio di molti ricercatori, vengono già fissati in misura rilevante i nostri tratti caratteriali, i nostri talenti e i nostri limiti. 

Ma poi, s’intende, ogni talento, ogni carenza e ogni componente caratteriale possono in certa misura essere rafforzati, inibiti o modificati dall’ambiente in cui si cresce. Ed è per questo che ogni educatore dovrebbe essere consapevole del fatto che, educando, traccia anche dei destini. Nel mio mestiere d’insegnante ho avuto modo di conoscere ragazzi che nutrivano una passione profonda per la fisica, la poesia, l’astronomia, la musica, la storia; nel passato del giovane l’origine di quelle passioni si legava quasi sempre a una lettura, all’influenza di un genitore o di un amico, alla curiosità o all’entusiasmo che un insegnante aveva saputo risvegliare. E penso che sia una vera sfortuna, per un ragazzo, non incontrare mai sulla propria strada qualcuno che lo accenda di qualche passione intellettuale. Ogni passione suscita sogni, fa balenare mete che si vorrebbero raggiungere: in altre parole, spinge ad andare oltre, a non rimanere quello che si è già. La vita, quando è veramente vissuta, è realizzazione di sé; ma una simile realizzazione richiede anche la scoperta progressiva della propria identità profonda. «Wird was du bist – divieni ciò che sei», per dirla con Nietzsche.

Ora, mi pare chiaro che per avvertire una forte spinta a crescere e a divenire occorre anche una ricca dotazione interiore. Se un uomo è poco, non potrà diventare molto di più; ma quel che è dipende, in gran parte, da quanto si porta dentro dagli anni decisivi dell’infanzia e dell’adolescenza. È in quella fase che si tesse la trama dei destini; e certe prime letture, fatte quando si comincia a leggere bene, possono rimanere profondamente impresse proprio perché sono le prime – a condizione ovviamente, che il libro abbia forza narrativa.

Si sa che oggi molti ragazzi s’appassionano alla lettura molto meno di un tempo, e la cosa non può stupire: i mezzi audiovisivi sono più immediatamente fruibili, richiedono minor impegno, minore concentrazione. Dunque, prevalgono. E poi, la lettura richiede tempo e solitudine: altre cose che si vanno perdendo. È possibile, naturalmente, che anche un film, anche il cicaleccio in un social network possano suscitare emozioni: quanto poi ne rimanga saldamente nella memoria e contribuisca alla crescita della persona è impossibile dire. È però verosimile che l’enorme sovrabbondanza di stimoli emotivi li renda alla fine scarsamente significanti, li stinga in un appiattimento ripetitivo, con scarso profitto per la crescita della persona. Bisogna comunque essere consapevoli del fatto che, anche in questo caso, avranno contribuito a tracciare destini: destini di mediocrità.