L’etica in goal

/ 14.11.2022
di Lina Bertola

Nell’imminenza dei mondiali di calcio in Qatar, sono in molti a confrontarsi con un vero e proprio dilemma etico. Seguire le partite della squadra del cuore o rinunciarvi, seppure a malincuore, consapevoli delle ignobili forme di sfruttamento con cui, per la realizzazione delle infrastrutture, sono stati calpestati i più elementari diritti umani?

La polemica si è accesa in Francia nel mese di ottobre, anche a seguito delle note indagini sul ruolo avuto nel 2010 dall’allora presidente Sarkozy e dal boss del calcio europeo Michel Platini nella designazione del Qatar a scapito degli Stati Uniti. Un documentato reportage di France2, ripreso poi dal bel programma della televisione romanda Temps présents, mostra le spaventose condizioni di vita e di lavoro delle migliaia di immigrati affamati, disposti à tout prix a costruire questa cattedrale nel deserto e… sotto il deserto. Il filmato si sofferma su stanze anguste e sovraffollate, servizi igienici lerci, scarafaggi e cibo avariato. Difficile reggere lo sguardo di fronte a tanto! Le Ong hanno denunciato tutto ciò, comprese le paghe da fame, senza dimenticare i 6500 uomini, secondo i dati riportati dal «Guardian», morti durante la costruzione di 6 stadi.

L’eco di queste gravi denunce ha coinvolto molti paesi che si sono interrogati sull’atteggiamento da assumere verso un evento, da sempre momento di festa e di condivisione, ma divenuto oggi, come è stato più volte ripetuto, il mondiale dello sfruttamento. Come è noto le principali città francesi non metteranno a disposizione maxi schermi; anche i Cantoni di Losanna e Neuchâtel hanno preso la stessa decisione.

Anche questa volta l’etica, con le sue domande, si presenta a noi tardivamente; anche questa volta ci interpella, con i suoi inquietanti dilemmi, quando ormai i giochi sono già in buona parte avvenuti. A lungo trascurate, se non addirittura rimosse, alla fine compaiono le domande etiche, proprio come la Nottola di Minerva con cui Hegel aveva identificato la filosofia: quell’uccello notturno che sul far del crepuscolo ha il compito di comprendere ciò che accaduto nel mondo. Domande tardive che oggi si presentano a molti di noi con voce forte e chiara.

Al di là delle scelte politiche, alla fine il dilemma etico bussa alla porta della nostra intima dimora, ci interpella in prima persona. Guarderò le partite o terrò il televisore spento? Arriveremo tutti a compiere una scelta ma, come sempre accade quando sperimentiamo un dilemma etico, è possibile che il cammino personale per arrivare a prendere la decisione ritenuta buona sia attraversato da molte sfumature, da motivazioni intrecciate, a volte anche conflittuali.

Chi rinuncerà, e quanto più a malincuore lo farà, farà valere ragioni di principio: «non li guardo per principio perché non posso sentirmi complice della rimozione collettiva di tante nefandezze che hanno reso possibile questo mega-spettacolo». Come dire: di fronte alla coscienza non ci sono vie di fuga: il diniego di principi morali determina il giudizio negativo e il rifiuto di tutto ciò che ne consegue.

Piacerebbe di certo a Kant questo sussulto della legge morale, di quel «devo perché devo» che non ammette motivazioni esterne. Piacerebbe tanto, al filosofo, il rispetto incondizionato di quella legge morale che lui ritiene presente in ciascuno di noi: una presenza che percepiamo immediatamente, nella coscienza stessa della nostra esistenza. Come più volte mi è capitato di ricordare, Kant spiega il contenuto della legge morale con un potente richiamo alla nostra comune appartenenza: «agisci in modo da trattare l’umanità nella tua persona e nella persona dell’altro, sempre come un fine e mai come un semplice mezzo».

Rifiuto categorico dunque, perché la comune appartenenza all’umanità è stata brutalmente calpestata, ancora una volta, nello sfruttamento di tanti nostri simili. Tuttavia, il sentimento della nostra comune appartenenza potrebbe agire sottotraccia anche in chi non rinuncerà allo spettacolo; potrebbe anche motivare la scelta di chi lo riterrà, nonostante tutto, una significativa occasione di condivisione di quello stesso sentimento, e perché no, anche di valori comuni. Qui sul rigore dei principi prevale la considerazione pragmatica di possibili effetti positivi. Questo piacerebbe tanto ai filosofi utilitaristi, attenti a calcolare le conseguenze più utili alla felicità del maggior numero di persone.

Riconoscere la complessità delle nostre scelte può essere un invito ad andare oltre: un invito e un monito a riconoscere anche la possibilità di trasformare il mondo, e non solo di comprenderlo.