Le statistiche decretano che il nostro campionato di hockey su ghiaccio è il più seguito dal pubblico dopo la National Hockey League. Che gli stadi di Berna e Zurigo sono i più frequentati e che anche le altre piste non sono messe male. Vorrà pur dire qualcosa! Significa quantomeno che il pubblico apprezza lo spettacolo offerto dai nostri giocatori.
L’intensità della serie finale tra Zugo e Zurigo ne è l’emblema più alto e più limpido. Insomma è un campionato in grado di fornire qualità alla Nazionale rossocrociata. Aggiungiamo che il selezionatore Patrick Fischer, ai recenti Mondiali in Finlandia, ha potuto beneficiare anche del contributo di sei big provenienti dalla NHL come capitan Nico Hischier e come Timo Meier. Mettiamoci anche la voglia furibonda di dimenticare la deludente spedizione olimpica dello scorso inverno a Pechino. Ecco che, mai come quest’anno, aspettative e appetito sono stati così smisurati. Sia all’interno della squadra, sia fra i fans. Sembrava l’anno fatato.
Tutto stava procedendo come nel migliore dei mondi possibile. Dominio del girone con sette successi in altrettante partite. Carattere, tenacia, temperamento, furore alle stelle hanno consentito di ribaltare sfide che in altre circostanze sarebbero sfuggite di mano. Su tutte quella contro il Canada, con i Nordamericani ridimensionati a livello di una selezione di seconda fascia. Qualità e velocità di gioco sono stati costantemente degni di una grande squadra. Eppure, al primo scontro diretto, di fronte agli Stati Uniti, nei quarti di finale, i ragazzi di «Fischi» si sono arenati.
È un verdetto che brucia proprio perché c’era la consapevolezza che la Nazionale elvetica avesse i mezzi per intraprendere un percorso lungo, fino alla finale. A botta calda, giocatori, tecnici e commentatori hanno puntato il dito su una serie di episodi sfortunati che avrebbero condizionato l’esito della sfida che ha decretato l’eliminazione della Svizzera. È un refrain che riecheggia spesso.
C’è da chiedersi perché gli episodi si accaniscano quasi sempre contro di noi. Sono invece convinto che sia soprattutto una questione di cultura hockeistica, di abitudine a lottare a livelli così alti. In Finlandia mancava la Russia, per ovvie ragioni. Alle semifinali sono comunque approdati quattro colossi: i padroni di casa, campioni olimpici in carica, la Repubblica Ceca, Gli Stati Uniti e il Canada. Quest’ultimo protagonista di una prodigiosa rimonta nei quarti di finale contro un’altra grande, la Svezia.
A chi fosse sfuggito l’evento diciamo che la finalissima di domenica scorsa ha visto la Finlandia imporsi ai supplementari sul Canada. È stata una sfida vibrante. Tentare di essere ammessi a questa tavola reale è più che legittimo. La Svizzera ci era riuscita nel 2018, quando i rossocrociati erano giunti a un’unghia dal titolo mondiale. Pretendere però che ciò sia la regola mi pare velleitario.
Siamo forti, stiamo crescendo, a piccoli passi ci stiamo avvicinando ai vertici dell’hockey mondiale, ma manca ancora qualcosa. Ho apprezzato la nostra Nazionale. L’ho vista esprimere un gioco di ottima qualità, veloce, intenso, fantasioso, efficace. Anche in occasione della sconfitta decisiva. E allora, perché Hischier e compagni la finale se la sono vista dal divano di casa? Forse è per una pura e semplice congiunzione astrale. Alcuni commentatori hanno sostenuto che se avessimo giocato al meglio delle sette partite la sfida contro gli USA saremmo approdati alle semifinali. Ma quella sera avremmo potuto tirare in porta fino a notte fonda, che il disco non sarebbe entrato nella gabbia del portiere americano.
Io sono portato a credere che, come spesso accade nello sport, siano gli aspetti mentali a decretare successi e insuccessi. I ragazzi di Patrick Fischer, pur restando umili e con le lame sul ghiaccio, dovranno accrescere ulteriormente la consapevolezza di essere un team molto forte. Una squadra che ha poco o nulla da invidiare alle sei big dell’hockey mondiale. Che può scendere in pista a giocarsela contro qualsiasi avversario.
Sarebbe fantastico farsi trovare pronti per il Mondiale del 2026 che si giocherà sul ghiaccio di casa. Ma le premesse affinché il colpaccio possa accadere anche prima di quelle data, sono tutt’altro che trascurabili. L’uscita di scena ha suscitato rabbia e delusione, ma non ha cancellato quanto di buono è stato fatto in questi ultimi anni.