L’erba voglio è digitale

/ 19.09.2022
di Alessandro Zanoli

Colpiscono e fanno riflettere le proteste di Greta Gysin per l’accanimento con cui i suoi detrattori l’aggrediscono sui canali social. Siamo sicuri che non sia l’unica a essere oggetto di un simile trattamento: nel mondo senza controllo (o, piuttosto, che viene teoricamente dichiarato come controllato) della comunicazione digitale il fenomeno dello hating è conosciuto da tempo ed è diventato con il passare del tempo persino una strategia politica. Lungi dal rappresentare un mezzo di informazione utile e formativo, la Grande Rete si è trasformata in due decenni in un mondo senza remore e controlli, in un «circo della libertà» di zaloniana memoria.

Certo, non potevamo aspettarci miracoli, dalla «rivoluzione digitale». Il suo punto debole, lo diciamo da sempre, sono i suoi utenti. Quello che sembra interessante osservare è però l’estrema infantilizzazione a cui sono andati incontro questi ultimi. Siamo diventati improvvisamente tutti bambini indisciplinati che, nel momento in cui il maestro esce dalla classe per qualche motivo, iniziano a strepitare e a fare baccano. Bisognerebbe chiedere a Freud cosa ne pensa. Parlerebbe di regressione allo stadio orale? Forse a quello anale, più scatologicamente adatto? Per certo sembra di poter osservare che nella nostra psiche l’uso delle tecnologie digitali si collega direttamente a un pensiero magico che, quello sì, è potentemente infantile.

Diversamente da tutti gli uomini (e le donne) che ci hanno preceduto, noi abbiamo assistito a un cambiamento di paradigma educativo, morale e logico allo stesso tempo. Molti di noi sono cresciuti in un’epoca in cui la rinuncia era la chiave di volta per capire il mondo. Che si trattasse di pregiudizi indotti dall’ideologia religiosa, oppure di regole comportamentali vigenti in una società rurale, povera, l’insegnamento più importante impartito dall’educazione era quello di saper gestire la «mancanza», di saper controllare i desideri, di sottoporre le proprie esperienze a un regolare «esame di realtà», per valutarne la consistenza e la ragionevolezza.

La tecnologia, se ci fate caso, ha completamente capovolto il ragionamento, rendendo istantanea e liberamente realizzabile la soddisfazione del desiderio (non si parlava di Freud per caso…): accelerando in maniera incredibile i processi decisionali e le possibilità di interazione con il mondo e con le persone, le regole del passato sono state sovvertite. La tecnologia si è rivelata, per molte persone, un puro strumento di magia. Come una bacchetta magica, come una lampada di Aladino, l’accesso alla Grande Rete permette di soddisfare qualunque desiderio in un istante, non mettendo più filtri tra il desiderio e il possesso. A pensarci è straordinario notare come un’invenzione così profondamente tecnologica, così sofisticata e complessa, sia stata integrata dalla società a un livello così primitivo e per certi versi regressivo. Per come l’abbiamo presa noi, gente comune, la tecnologia è veramente un procedimento magico, perché permette di trasmettere il pensiero istantaneamente, perché ci mostra quello che succede in altre parti del mondo contemporaneamente, perché è in grado di farci avere in pochissimo tempo tutto quello che ci serve: proprio quel che fanno gli oggetti fatati nelle fiabe.

Tanto per tornare al padre della psicanalisi, potremmo dire che la società tecnologica potrebbe rappresentare un’occasione d’oro per mettere alla prova la sua teoria. Non dovrebbe più esistere nevrosi, in un un mondo in cui non si soffre più il problema della rinuncia, in cui ogni desiderio può trovare il suo appagamento, in cui la comunicazione e l’informazione sono così capillari e, per così dire, obbligatorie. Potremmo essere tutti tranquilli e felici, seduti davanti ai nostri video giganti come i grassoni del cartone animato di WallE. E invece… avete provato a fare una passeggiata di sera nei quartieri dove sono stati costruiti i palazzi moderni? L’impressione è che gran parte delle persone viva in appartamenti costantemente esposti alla vista degli altri, con luci sempre accese e con finestre senza tende, in modo da vedere ed essere visti, come nei palazzi di vetro delle fiabe. Possiamo avere tutto, possiamo essere tutto, ma abbiamo ancora paura del buio e della solitudine.