Da quando ad aprile, in occasione degli Eventi Letterari al Monte Verità, ho avuto la possibilità di ascoltare il messaggio del naturalista tedesco Hans Joachim Schellnhuber sul cambiamento climatico e il riscaldamento globale, devo dire qualche ansia in più mi è venuta. Secondo Schellnhuber ci stiamo autodistruggendo e se non attueremo al più presto un’inversione di tendenza sarà troppo tardi, anzi, è probabile che siamo già fuori tempo massimo. E il suo non è il parere di un esperto qualunque, egli è infatti direttore e fondatore dell’Istituto per la ricerca sull’impatto climatico e professore di fisica teorica all’Università di Potsdam nonché membro di lunga data del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che nel 2007 ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Dunque tenendo le parole del professore tedesco sempre a mente, tempo fa mi è caduto l’occhio su un articolo del quotidiano italiano «la Repubblica»: La tecnologia salverà la natura. Il tema era l’ultimo libro di Christopher Preston, docente di filosofia ambientale all’Università del Montana, dal titolo L’Era sintetica (titolo originale The synthetic age). Incuriosita, l’ho subito letto e sono andata alla ricerca del libro e di qualche approfondimento.
In sostanza, il bioeticista ci dice che stiamo entrando in un nuova era, stiamo abbandonando l’Antropocene per entrare in quella che chiama l’Era sintetica. Qual è la differenza tra le due e che cosa comporta? Per Antropocene si intende l’era geologica attuale nella quale le alterazioni climatiche, territoriali e strutturali sono principalmente attribuibili all’essere umano e al suo operato. Con Antropocene si indica l’impatto dell’uomo sul pianeta, un impatto involontario. Nell’Era sintetica, invece, l’uomo non solo riconfigura e trasforma il pianeta ma lo fa intenzionalmente. Facciamo un esempio concreto: due scienziati britannici Jane Hill e Steven Willis hanno spostato un migliaio di farfalle di due diverse specie in una zona più a nord dell’Inghilterra visto che questi lepidotteri nelle loro zone soffrivano dei mutamenti dovuti al cambiamento climatico. In questo caso la natura diventa sintetica, spostiamo e ricomponiamo degli ecosistemi facendo diventare la natura ciò che vogliamo che sia. Altro esempio che fa il bioeticista nel suo libro è quello di un nuovo progetto in grado di ridurre il riscaldamento globale bloccando i raggi solari che arrivano sul nostro pianeta. Si chiama Solar Radiation System ed è stato elaborato nel campo della Geoingegneria, ramo delle scienze applicate che si occupa dell’attuazione di tecniche artificiali di intervento umano sull’ambiente fisico, dall’atmosfera, agli oceani, alla biosfera.
Stiamo dunque andando nella direzione giusta? Difficile dirlo, difficile pensare di sostituire la natura e i suoi meccanismi biologici con qualcosa di sintetico. Non è un processo intuitivo e porta con sé una grande responsabilità (e fino ad oggi, onestamente, non mi sembra ce la siamo giocata bene). In sostanza, a detta del docente dell’Università del Montana, l’umanità, ha in mano una patata bollente: visto il progresso tecnologico e la sua capacità di ridisegnare la natura può decidere in che cosa consisterà l’oro verde del pianeta. Siamo pronti e attrezzati per questo? Vogliamo davvero prendere il controllo della terra e sintetizzarla, ad esempio, grazie alla nanotecnologia? O faremo un passo indietro mantenendo qualche speranza che là fuori vi sia ancora qualcosa di naturale? Il filosofo nel suo saggio opta per l’ultima probabilità: «personalmente sono scettico riguardo all’Era sintetica. Ho nostalgia dell’idea di natura e credo che le persone non vi rinunceranno». A tal proposito varrebbe allora la pena leggere il pensiero di Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, che racconta dell’intelligenza delle piante e di come esse possano essere il modello alternativo di una società ideale sul quale progettare il futuro. Ma questa è un’altra storia sulla quale ci soffermeremo un’altra volta…