Rilke muore al sanatorio Valmont di Glion, sopra Montreux, il ventinove dicembre 1926. Il due gennaio 1927 viene sepolto, secondo le sue volontà, nel cimitero dell’antica chiesa appollaiata su una roccia a Raron, in Vallese. Arrivo a Raron a mezzogiorno e quattordici con il regionale preso un attimo fa a Visp. A passi lunghi «da filosofo viennese» come li chiama Jack Kerouac ne I sotterranei (1957), supero il Rodano, sulle cui rive, qui vicino, qualche anno fa, trovano un lupo ucciso.
La chiesa tardogotica lassù è uno dei primi posti dove Rilke, a suo dire, accoglie il vento e la luce vallesani con tutte le promesse realizzate in seguito nel castello di Muzot. Lì infatti termina le Elegie duinesi (1923) iniziate nel castello di Duino. Se il castello di Duino è un vero castello affacciato a strapiombo sull’Adriatico a nord di Trieste, il castello di Muzot è chiamato così ma in realtà è un piccolo e sobrio maniero duecentesco con frontone a gradoni in mezzo ai vigneti di Veyras, due chilometri sopra Sierre e ventiquattro da qui. In un quarto d’ora – attraverso questo paese soporifero di millenovecentotredici anime che si è appropriato del nome del famoso poeta nato a Praga: Rilkedorf sottolinea, a ogni piè sospinto, la segnaletica – sono su. In cima allo sperone roccioso fortificato.
A far compagnia alla chiesa di San Romano, costruita sulle rovine di un castello verso il 1512, c’è la torre dei vicedonni e la canonica, oggi museo, chiuso in inverno. Accanto al cimitero, due scheletrici alberi avvolti dall’edera. Un crocifisso gigante risalta tra le tombe. Tiro dritto, aggirando il coro decagonale dove si trovano alcune sepolture. Dietro l’angolo, contro la facciata sud, ecco solitaria, la tomba di Rainer Maria Rilke. Croce di legno con su le iniziali, l’anno di morte e di nascita: 1875. Ai suoi piedi a sinistra, bacche di rosa canina. Un mazzo di rose gialle rinsecchite dimora, ai primi di febbraio, in mezzo a un cespuglio di lavanda.
Sulla lapide, sotto lo stemma e il nome, si legge «Rose, oh reiner Widerspruch, Lust, Niemandes Schlaf zu sein unter soviel Lidern». Scandito come cinque versi scolpiti in stampatello di un bel rosso sinopia, l’epitaffio di Rilke a Raron (702 m) è traducibile così: «Rosa, oh pura contraddizione / voglia / di essere il sonno di nessuno / sotto così tante / palpebre». Conosciutissimo non solo dagli intenditori di Rilke che si sono persi in interpretazioni varie, ma anche dagli esperti di epitaffi e dagli amatori di rose, viene scritto la sera del ventisette ottobre 1926. Nella busta-testamento consegnata a mano due giorni dopo alla sua amica e mecenate Nanny Wunderly (1878-1962) che si prenderà cura della tomba fino alla morte, ci sono inoltre un paio di indicazioni sulla lapide. «Una vecchia lapide» è il desiderio, «si cancellino le iscrizioni precedenti». E così è stato, se ne è occupata Baladine Klossowska (1886-1968): pittrice amatoriale polacca amata da Rilke e tra l’altro madre del pittore Balthus e l’intellettuale Pierre Klossowski. Proviene da un cimitero parigino abbandonato, nei pressi dell’ippodromo di Longchamp, era di una clarissa isabelliana della vicina abbazia distrutta durante la rivoluzione francese. Il compito di cancellare e scolpire la lapide di seconda mano addossata alle mura meridionali della chiesa, è stato affidato al fratello del pittore olandese Kees van Dongen. Pietra chiara, color meringa, magari del sud della Francia.
Considerato al pari delle sue opere maggiori, questo epitaffio tipo haiku sembra un rebus. Da non risolvere però. «Pura contraddizione» come la rosa invocata: profumo e spine. Ultime parole che attraggono il cuore e al contempo sfuggono ogni contatto. Conta solo l’epitaffio in purezza: misterioso e limpido. «Io temo tanto la parola degli uomini. Dicono sempre tutto così chiaro: questo si chiama cane e quello casa» scrive lo stesso Rilke in una poesia giovanile che finisce così: «A me piace sentire le cose cantare! Voi le toccate e diventano rigide e mute! Voi mi uccidete le cose!». Vi risparmio dunque le vane interpretazioni dei critici blateranti, fuorviati tutti da metafore, simboli, significati occulti. Quello che è, è lì da leggere. Certo, al contempo è anche qualcos’altro, da cogliere appena e da non dire però con certezza e lasciare libero di andare come volpi nella notte.
Un titolo di Paul Celan riaffiora veloce: Die Niemands-rose (1963), ricordo poi petali di rosa sparsi dieci anni fa nella Senna. La vista, da quest’angolo di mondo dove riposa Rilke, va detto, non è un granché: troppe palazzine deprimenti, industrie, una cava laggiù che sventra la montagna. Il nuovo tunnel del Lötschberg, almeno, sempre in territorio di Raron, da qui è invisibile. Curiosamente, qui sotto, una seconda chiesa del 1974 è anche scavata nella roccia. Là verso Sierre alzando gli occhi però, la neve sopra Crans-Montana risolleva lo spirito. Come quel goal su punizione di Georges Bregy ai mondiali americani che ha stupito tutti. Convocato a sorpresa quando si era già ritirato, Bregy nasce nel 1958 qui a Raron.