L’economia dell’effimero

/ 04.07.2022
di Angelo Rossi

Della struttura di produzione dell’economia ticinese sappiamo tutti che sta, da qualche decennio, terziarizzandosi. Questo significa che la quota dei posti di lavoro (e del Pil) del settore dei servizi continua a crescere a scapito naturalmente delle quote del primario (agricoltura e foresticoltura) e, in particolare, del secondario, il settore dell’artigianato, dell’industria e dell’edilizia. Ricordiamo che, nel 1975, il secondario rappresentava ancora il 39,2% dell’occupazione totale dell’economia ticinese. Oggi (2020) questo settore non occupa più che il 22,2% dei lavoratori dell’economia cantonale. Ma attenzione: in termini assoluti l’occupazione del secondario del 1975 non è molto diversa dall’occupazione di oggi. Nel corso degli ultimi 50 anni, l’occupazione dell’economia ticinese è quindi cresciuta praticamente solo nel terziario. Nel corso di questo lungo periodo non sono mancati gli sforzi per rilanciare sia l’industria che l’artigianato. L’opinione pubblica e la fantasia popolare si sono interessate soprattutto alle misure con le quali il governo ticinese ha cercato, a più riprese, di promuovere l’innovazione tecnologica, come pure i prodotti e i servizi di nicchia. Ma ci sono stati anche studi e ricerche che si proponevano di scoprire quali fossero i rami del secondario e quelli del settore dei servizi che avrebbero potuto svilupparsi nel Cantone.

Verso la fine del secolo scorso, nel breve periodo in cui nacque e sparì la «nuova economia», si fece largo l’idea che il Ticino, nel quadro di una rete di scambi che stava mondializzandosi avrebbe potuto giocare la sua carta come centro per la logistica internazionale, in particolare per l’industria della moda e del lusso. Ora invece queste «grandi firme» stanno una dopo l’altra abbandonando le loro localizzazioni nel Cantone, dopo un periodo di presenza tutto sommato effimero. È come se 30 anni fa fosse scoppiata nel Cantone la febbre della logistica per prodotti di lusso e che oggi, dopo un periodo relativamente breve di sfruttamento delle possibilità, si fosse scoperto, in una situazione di mercato che per molte ragioni è cambiata, che il filone è inaridito. Di questi sviluppi, che sono durati «l’espace d’un matin», ha parlato recentemente l’economista della Supsi Spartaco Greppi in un’interessante intervista rilasciata alla «Regione». Per lui i vantaggi offerti dal Ticino, come trattamenti fiscali privilegiati e agevolazioni nell’accesso alla proprietà, non bastano più per localizzarvi le attività logistiche. Egli precisa poi che la partenza di queste ditte deve essere messa in relazione con «il fatto che gli altri Paesi si sono mossi per evitare certe pratiche di ottimizzazione fiscale, con leggi, riforme e controlli volti a ricostituire una certa equità. Questo ha cambiato radicalmente il calcolo costi/benefici per le imprese.

Che cosa significano queste partenze per l’economia del Canton Ticino? In prima linea vengono citate le perdite di gettito fiscale. Nell’intervista si precisa che il gettito di questo settore, nel 2015, era pari a 90 milioni. Deve trattarsi della somma delle imposte pagate dalle aziende e dai loro dipendenti ai comuni e al Cantone. È probabile che non tutto il gettito vada perso. Comunque i comuni sedi delle aziende, ossia proprio quegli enti che hanno fatto gli sforzi maggiori per ottenere che le stesse si localizzassero sul loro territorio, ne risentiranno. Dal profilo dell’occupazione, la delocalizzazione di questo settore non dovrebbe creare grossi problemi, tanto più che una larga quota degli occupati è costituita da lavoratori frontalieri. È invece probabile che i capannoni e le costruzioni abbandonate creeranno problemi di riuso non facili da risolvere, specie laddove la dimensione degli edifici è fuori della norma. Secondo noi per qualche anno si andrà avanti con occupazioni di tipo provvisorio. Poi, a seconda del tipo di costruzione in questione, o si cercherà di tornare a utilizzarla per scopi industriali o logistici, o se ne cambierà l’uso, magari facendo posto a servizi di natura pubblica, o si abbatteranno per far posto a nuove costruzioni. Una di questa costruzioni potrebbe ospitare, secondo noi, un museo delle occasioni industriali mancate del Ticino. Un po’ come noi andiamo a visitare, oltre oceano, i villaggi abbandonati dai cercatori d’oro, in futuro, da noi, i turisti potranno visitare il museo dell’industria della moda e del lusso dove potranno rendersi conto di quanto effimera possa essere la durata di certi investimenti nell’economia, basati sostanzialmente solo su agevolazioni fiscali.