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L’economia del dono

/ 18.12.2017
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia, 
seguo da sempre la sua «stanza» perché mi aiuta a scoprire i misteri dell’animo femminile. Ho ormai una certa età e per tutta la vita, in qualità di insegnante prima e dirigente scolastico poi, ho avuto a che fare con maestre, mamme e bambini. Sposato due volte, sono circondato da mogli (una ex ma ancora presente nella mia vita), figlie, nuore, consuocere e nipoti.
Ed è in occasione del Natale che mi rendo conto di quanto siano difficili i rapporti umani anche quando sembrano regnare la pace e l’armonia. Complicazioni particolarmente sottili e insidiose emergono in particolare nel fare regali alle donne. Capita che anche la più matura e intelligente reagisca indispettita e risentita a un dono o a un gesto affettuosi fatti in buona fede. 
Messo in difficoltà, le chiedo: è un modo per evitare un sentimento di riconoscenza o un’occasione per affermare la propria libertà? / Antonio

Caro Antonio, 
grazie per l’attenzione con cui segue questo spazio di dialogo e complimenti per la sensibilità con la quale si interroga sulla complessità del fare un regalo, un gesto ritenuto a torto sempre e comunque positivo. L’economia del dono, studiata a fondo dagli antropologi, come potrà confermare Cesare Poppi, uno dei più autorevoli esponenti della disciplina, smentisce in proposito ogni semplificazione.

Il dono infatti si colloca al centro della relazione tra l’io e l’altro e, come tale, intende esprimere atteggiamenti positivi tra chi dona e chi riceve. Ma, come insegna la psicoanalisi, i nostri sentimenti sono sempre ambivalenti e ogni affetto, anche il più luminoso, reca con sé l’ombra del suo contrario. Tra chi dà e chi riceve scatta un implicito confronto dove è difficile calcolare, per dirla con Shakespeare, «misura per misura». Entrambi temono di essere sottovalutati, di non essere considerati come vorrebbero, di fare brutta figura. Ma mettiamoci ora dal punto di vista delle signore, piccole o grandi che siano. Ognuna di loro cerca, per quanto possibile, di esprimere il meglio di sé, di rappresentare l’Io ideale, che non coincide mai completamente con l’Io reale. Tra ciò che vorrei essere e ciò che sono c’è sempre un divario che, per quanto mi sforzi di colmare, non sarà mai eliminato del tutto. Gli ideali sono irraggiungibili per definizione, altrimenti non sarebbero tali. 

Ora il dono rischia proprio di rivelare, tra i due aspetti, una discrepanza sgradevole. È il caso del marito che regala alla moglie una friggitrice mentre lei avrebbe preferito un gioiello, un profumo, una vestaglia di seta, una cena al lume di candela. Oppure il regalo di un libro alla nipote che non studia e non legge, una scatola di cioccolatini alla nuora eternamente a dieta e così via. In famiglia poi scattano facilmente reazioni d’invidia tra chi ha avuto di più e chi ritiene di avere avuto meno.

Nello scambio di doni il momento più bello è forse quello in cui si apre il pacchetto, l’attimo che separa l’attesa dalla sorpresa. In quei frangenti chi ha conservato un cuore di bambino sa gioire con immediatezza senza chiedersi perché e come dovrà ricambiare. Ma è difficile recuperare l’ingenuità dell’infanzia e tra adulti rimane, come lei ha ben compreso, il problema della gratitudine, un atteggiamento rimasto irrisolto persino nella psicoanalisi. Mentre per Melanie Klein la gratitudine ci permette di superare l’ombra dell’odio che ci separa dall’altro, per Freud apre una dipendenza negativa che sarebbe meglio evitare.

Lei sottolinea che lo scambio dei doni è più problematico per le donne che per gli uomini e ha ragione perché abbiamo bisogno, per sentirci confermate, di vivere in un una rete di reciproci affetti. Nell’autostima degli uomini invece ciò che conta è la scala gerarchica in cui sono inseriti, il riconoscimento del grado che ritengono di avere. Qualche cosa di obiettivo, valutabile, confrontabile quindi, ben diverso dall’impalpabilità dell’amore che vorremmo cogliere in ogni cosa, in ogni gesto dei nostri cari.

Infine credo che per evitare, nei limiti del possibile, ambiguità e contrattazioni la cosa migliore sia dire semplicemente «grazie» perché ammette la reciprocità dei sentimenti e indulge sull’imperfezione con cui li manifestiamo. Nelle relazioni familiari, proprio perché sono le più prossime, le più dirette e immediate, procediamo per impulsi non sempre razionali, a volte centrando a volte mancando il bersaglio. L’importante è mantenere aperti il cuore e la mente ricordando, come canta Gaber, che il resto è niente.