È appena uscito il rapporto di primavera della Seco sulle tendenze congiunturali. Conferma quella che, dall’ultimo trimestre dello scorso anno, è diventata la preoccupazione generale di chi segue l’andamento della nostra economia. Per il 2019 ci si attende un rallentamento. Il giudizio pessimista sull’andamento della congiuntura resta valido anche se, durante il primo trimestre, il Pil della Svizzera , contro ogni previsione, è cresciuto dello 0.6%. Per quel che riguarda le cause di questo colpo di freno congiunturale si menzionano, accanto all’incertezza sull’evoluzione della situazione politica in generale e, in particolare, sull’esito della Brexit, due altre: dapprima i possibili effetti negativi sul commercio internazionale provenienti dalla guerra tariffale che stanno conducendo Stati Uniti e Cina e poi il rincaro del prezzo del petrolio.
Il rapporto di primavera della Seco consacra quindi un’attenzione speciale alla crescita dello scorso anno e alla stagnazione del prodotto interno lordo pro-capite, manifestatesi nel corso dell’ultimo decennio. Nel corso del 2018 il Pil svizzero ha ritrovato, per la terza volta nel corso di questa decade, un tasso di crescita superiore al 2%. È cresciuto del 2.5% come nel 2014, mentre nel 2010 la crescita era stata del 3%. Nel periodo succeduto alla crisi bancaria internazionale, la nostra economia ha quindi conosciuto un ciclo congiunturale con punte ogni 4 anni. Il colpo di freno in atto potrebbe dunque rientrare nell’ordine delle cose prevedibili, anche se l’impatto finale dei fattori che lo stanno provocando è tutt’altro che conosciuto. Il discorso sulla stagnazione del prodotto interno lordo pro-capite merita maggiore attenzione. Mentre nella decade dal 1999 al 2008 il Pil pro-capite era cresciuto, in ben 5 anni, a un tasso superiore al 2%, nei successivi dieci anni, il suo tasso di crescita non ha mai superato questo livello. Di conseguenza, mentre tra il 1999 e il 2008 il Pil pro-capite svizzero è cresciuto, complessivamente, del 15%, nei dieci anni successivi la sua crescita è stata pari soltanto al 4.7%.
Questa diminuzione nel ritmo di crescita è dovuta anche alla forte riduzione del Pil pro-capite indotta dalla crisi bancaria internazionale nel 2009. Ma non soltanto. Come si è già ricordato, anche i tassi di aumento degli anni successivi sono stati molto modesti. È vero che, nel confronto internazionale, il risultato raggiunto dalla Svizzera è migliore di quello dell’Italia che, negli ultimi venti anni, non ha praticamente conosciuto nessun aumento del Pil pro-capite. Ma è altrettanto vero che la nostra prestazione è stata nettamente inferiore a quella dell’economia germanica che, negli ultimi dieci anni, è stata capace di realizzare un aumento del Pil pro-capite pari al 12%. Siccome l’andamento della congiuntura svizzera non è stato significativamente diverso da quello della congiuntura germanica, le ragioni di questa differenza devono essere soprattutto di natura strutturale. Nel rapporto della Seco se ne citano due. La prima è la debole crescita della produttività del lavoro. Gli esperti della Seco attribuiscono questa debolezza al forte sviluppo del settore dei servizi. In pratica la differenza nella crescita del Pil pro-capite tra Svizzera e Germania sarebbe dovuta al fatto che in Svizzera la crescita del Pil dipende maggiormente dall’espansione dell’occupazione che in Germania e, in particolare, dal fatto che l’occupazione aumenta specialmente in rami con bassa produttività (per esempio nel settore sanitario e sociale).
Anche la seconda ragione ha da fare con la crescita dell’occupazione. In questo caso però si tratta dell’economia germanica che ha visto, nel corso degli ultimi dieci anni, ridursi il tasso di disoccupazione. La diminuzione dell’effettivo dei disoccupati, in particolare dei disoccupati di lungo periodo, ha naturalmente fatto crescere il reddito medio per abitante e quindi anche il Pil pro-capite. Gli autori del rapporto non offrono stime dirette sull’ampiezza degli effetti di natura strutturale. Ricordano però, quasi alla fine del loro commento, che la popolazione, che è il divisore nel rapporto del Pil pro-capite, è aumentata in Germania, nel corso degli ultimi dieci anni, a un tasso annuale pari allo 0.5%, mentre in Svizzera è cresciuta a un tasso annuale dell’1%. Questa differenza, che è stata naturalmente accompagnata da una differenza analoga nella crescita dell’occupazione, basterebbe, da sola, a spiegare una buona parte del divario nei tassi di crescita del Pil pro-capite.