L’e-voto salverà la democrazia?

/ 13.03.2023
di Orazio Martinetti

Situazione alla vigilia del voto del 2 aprile per il rinnovo dell’Esecutivo e del Legislativo: stabilità complessiva, con qualche spostamento di seggi in Gran Consiglio. Variazioni minime, dicono i sondaggi, ma sufficienti per moltiplicare le forze rappresentate (effetto frammentazione). Nella disfida per il Consiglio di Stato, l’unica incognita che si era affacciata riguardava il tentativo di detronizzare il leghista Claudio Zali per opera del democentrista Piero Marchesi. Un duello condotto tutto sull’ala destra dello schieramento politico, con due «fratelli-coltelli» nelle vesti di spadaccini. Ma non pare che l’assalto andrà a buon fine. Per il resto, bonaccia con lievi increspature. A sinistra le schermaglie congressuali non hanno indebolito la candidatura di Marina Carobbio. Centristi (ex PPD) e Liberali hanno accantonato i fieri propositi di riconquistare i seggi perduti: i primi nel lontano 1995, i secondi nel 2011. Nessuna rivincita dunque, va bene così, accontentiamoci, sarà per un’altra volta.

Allora la domanda è: se tutti i sondaggisti ci dicono che tutto o quasi sarà come prima, perché dovremmo assumerci l’incomodo di compilare una scheda? Posta la questione in questi termini, si potrebbe già decretare la morte della democrazia: una sorta di diserzione collettiva dal consorzio politico per mancanza assoluta di interesse e di fiducia. Per fortuna non tutto è prevedibile, il fattore sorpresa ancora esiste nonostante metodi d’indagine sempre più raffinati e precisi. Dunque l’appello a votare va ribadito con forza se vogliamo mantenere vivo e operativo il nostro ordinamento repubblicano.

Il crescente astensionismo però preoccupa, e non solo nel nostro piccolo Ticino. Durante le recenti Amministrative italiane in Lombardia e Lazio si è ingrossato fino a diventare valanga. Solo una minoranza si è recata alle urne. Il Ticino finora, alle politiche, ha sempre registrato una discreta partecipazione, superiore alla metà dell’elettorato. Tuttavia con oscillazioni che bisognerà tenere sotto stretta osservazione. Nel 2003 i refrattari al voto erano il 40,6%, nel 2015 erano calati al 37,8 per effetto dell’introduzione del voto per corrispondenza; ma nel 2019 sono nuovamente risaliti al 40,7. Nel corso degli anni sono stati numerosi i provvedimenti per iniettare «sangue fresco» nel corpo elettorale e agevolare l’espressione del voto, prima abbassando l’età a diciott’anni (1991) e poi generalizzando il voto per corrispondenza. Ora si vorrebbe compiere un passo ulteriore, ossia concedere questo diritto ai sedicenni. Misura utile, antidoto efficace al disinteresse? Le indagini fin qui condotte non lasciano intravedere scenari ottimistici. L’entusiasmo per l’attività politica nei cittadini giovanissimi non è uniforme e in ogni caso si spegne quasi subito nell’impatto con le istituzioni e i partiti con le loro gerarchie. Anche con i diciottenni, è dimostrato, la disaffezione prevale dopo una breve euforia. Dunque siamo in presenza di palliativi, che poco incidono sulle dinamiche del voto, le cui redini rimangono tuttora saldamente nelle mani delle fasce di età avanzate.

Ci sono alternative per ri-tonificare lo spirito civico? Da tempo la riflessione ruota intorno al voto elettronico, per ora sperimentato solo in laboratorio (ma in Estonia è già effettivo dal 2007). Dopo tutto, affermano i fautori, è questione di un attimo passare dal voto per corrispondenza al voto online: basta disporre di un computer in Rete e di una tessera che permetta di certificare l’identità del votante. D’altronde, si aggiunge, già oggi rispondiamo a sondaggi di tutti i tipi attraverso un semplice clic: per quale ragione la politica dovrebbe rappresentare un’eccezione?

L’approdo al porto digitale prima o poi avverrà. Ma non nascondiamoci le insidie. Una di queste è data dalla crescente banalizzazione dell’atto civico, che diverrebbe meccanico e istintivo, come di fronte alla scelta di un detersivo. La fase della documentazione e del confronto dialettico con le ragioni dell’altro cederebbe inevitabilmente il posto agli umori del momento, veloci e irriflessi. Non illudiamoci che la democrazia istantanea dell’avvenire sarà migliore di quella lenta e macchinosa che abbiamo conosciuto finora.