Le vetrate di Manessier a Friburgo

/ 14.02.2022
di Oliver Scharpf

Nella penombra della cappella del Santo Sepolcro, un primo pomeriggio verso la metà di febbraio, sono rapito dalle varie tonalità di blu ondeggiante delle vetrate di Manessier. Alfred Manessier (1911-1993), nato a Saint-Ouen, paesino della Somme a una ventina di chilometri da Amiens, è il primo artista a realizzare, tra il 1948 e il 1950, delle vetrate astratte in un monumento storico: la sperduta chiesetta seicentesca di Les Bréseux, nel dipartimento del Doubs, non lontana dal confine con il canton Giura. Questo capolavoro per la cattedrale di Friburgo, incastonato tra gli archi gotici in molassa grigiastra-verdina, è ammirabile dal maggio 1977. Immerge, al contempo, da lì via, in questa luce rivelatoria, la Deposizione di Gesù con dodici personaggi attorno – ritenuto il gruppo scultoreo medievale più importante della Svizzera – scolpiti nella molassa, a grandezza naturale, nel 1433. Manessier esprime «questa immensa notte, così carica di disperazione e allo stesso tempo di speranza» come disse lui stesso all’epoca, nella meravigliosa vetrata vicina in cui ombreggiano i motivi trilobati dei trafori. In basso si coglie un flebile orizzonte di rosso crepuscolare. Altre schegge speranzose sono seminate qua e là, scaglie d’azzurro, alcune giallo oro come foglioline in aria.

Preferisco però, per ora, rituffarmi nel blu saturo, vagare negli sprazzi fiordaliso perdendomi poi nella notte malva dove il mio spirito riposa più a lungo. Ma è nella vetrata più piccola, a fianco, che trovo lo spazio pasquale. Il nomadismo dello sguardo diventa quasi stanziale, si posa e si fonde con la luminosità più azzurrina e turchese, cadenzata dai garbugli del piombo. Una trama di particelle come mare leggermente mosso. Il ruolo del mastro vetraio, in questa distesa acquea di luce colorata, non è secondario: Michel Eltschinger, classe 1938, nel suo atelier di Villars-sur-Glâne, a tre chilometri circa da qui, ha tradotto magistralmente le tonalità e i movimenti dipinti da Manessier. A malincuore parto per esplorare le altre due tappe del tour Manessier: la prima risale al 1980-1983, le vetrate delle finestre in alto della navata. Contrappunto alle vetrate art nouveau spettacolari – meriterebbero un pezzo a sé – di Józef Mehoffer: giovane e allora sconosciuto artista polacco che qui, tra il 1895 e il 1918, compie l’opera della vita. Non per niente, la visione tra Manessier e Mehoffer, ha spinto il critico d’arte francese Jacques Thuillier a dire che «Friburgo possiede senza dubbio il più bell’insieme al mondo di vetrate del ventesimo secolo». Su in alto, quasi imprendibili allo sguardo se non sai della loro esistenza, le dieci vetrate del claristero, con estrema delicatezza, entrano in simbiosi con l’esuberanza di quelle giù in basso di Mehoffer che prendono, a una prima occhiata, tutta la scena. A tratti, in particolar modo le vetrate in fondo al coro, mi ricordano addirittura la fantasiosa sacralità delle decorazioni dei camion induisti. Perciò, a differenza della cappella del Santo Sepolcro, camminando lungo la navata non è così facile concentrarsi, astraendosi dai colori fiammeggianti delle vetrate art nouveau per guardare bene su in alto. Ma alla fine conta solo ciò che ami e ritrovo, passo dopo passo, la passione per l’astrazionismo lirico di Manessier che lassù, per chiarezza dei toni, mostra meglio la trama. Il groviglio graziosissimo di piombo si assapora, nonostante il torcicollo, tra celesti chiari.

Più in alto, verso l’arco, tra il tragitto di molassa a forma di tre teste di suora, i due trilobi e il quadrilobo in cima, incominciano altri colori più radiosi. Un soffio di festa mobile, petali pervinca piovono dal cielo, il tema è del resto quello della Pentecoste. Il tema del rosone, visibile da un bolla di vetro sul soffitto, all’entrata, è invece il Magnificat, terza tappa, 1988. Magnifico anche il rosone, certo, l’arcobaleno sposa il gotico raggiante, eppure devo tornare in quella bluescenza sacrale. Ripassare sotto l’arco basso a parentesi graffa orizzontale, dentro un angolo a parte da tutta la cattedrale Saint-Nicolas, buttarmi dentro ancora in quelle tonalità di blu ondulatorio, stordirmi tra il blu elettrico e il malva luminescente. Immagino, così, dopo un’ora di cattedrale, la baia della Somme che ha bagnato di luce, dandogli la visione per tutta una vita, gli occhi del piccolo Manessier.