Prati brinati sono i primi protagonisti del mio cammino. Dall’incontro con la Glâne – fiumiciattolo che dà il nome a tutto un distretto e il cui corso si snoda pigro ai piedi della collina di Romont – in mezzoretta, alternando asfalto ed erba ammantata di brina che scricchiola sotto i piedi sul ciglio della strada, arrivo a Berlens. Paesino di duecento anime la cui antica chiesetta individuo da lontano grazie al suo campanile acuminato come una spina. Notre-Dame de l’Épine, dal Seicento meta di pellegrinaggio per guarire gli occhi, architettura rustica riassumibile nelle scandole che avvisto ora sul campanile, fondamenta romane, impreziosita nel 1979, in occasione del suo restauro, di sei vetrate opera di Jean Bazaine (1904-2001). Astrattista lirico superlativo nato a Parigi dove nel quartiere latino incanta gli occhi di chi, dal 1969 a oggi, entra a guardare il coro della chiesa gotica di Saint-Séverin.
Spingo la porta di Nostra Signora della Spina e la prima cosa che vedo delle vetrate di Bazaine a Berlens (807 m) sono i riflessi colorati soffusi sul pavimento del coro. Un miscuglio luminoso rosa-giallo proveniente dalla vetrata sud del coro, trafitta alle undici in punto di una mattina abbastanza soleggiata verso la fine di febbraio. L’inverno si trova nella prima finestra della navata sempre a sud, subito qui a destra entrando. Il tema delle quattro vetrate, due per navata, è un cespuglio di spine nelle quattro stagioni. È infatti sopra il cespuglio di biancospino qui dietro la chiesa che un giorno, dicono, apparve la Madonna. Fiammate blu lavanda salgono in alto, gemme azzurro ghiaccio si avviluppano verso il cielo accanto a lingue bianco brina, alcune schegge di lilla come scintille nel camino, spicchi blu cobalto si aggrovigliano accanto a sciabole di un bel blu Nattier. Natura in attesa, raggelata, il tacere è in pieno rigoglio. «La Spina miracolosa porta nelle stelle rosa dei suoi cristalli di brina le promesse della luce» trovo scritto al riguardo di questa vetrata invernale, tra le dodici pagine su Bazaine a Berlens in Nouveaux signes du sacré, le vitrail contemporain (1986) di Étienne Chatton. Conservatore all’epoca dei monumenti storici friburghesi soprannominato Samouraï, è proprio Étienne Chatton (1933-2007), artefice occulto della ventata di vetrate moderne dei dintorni, a chiedere di persona a Bazaine – andando nel suo atelier di rue Pierre Brossolette a Clamart – se accettava l’incarico di questa creazione.
Più avanti spine di luce rossa dell’autunno scaldano l’ambiente, ricordando il roseto ardente dell’Esodo, ma è da nord che entra molta luce attraverso l’estate e la primavera con un turbinio di lastre sui toni più chiari. Troppa luce, trovo, comunque, in generale, dall’inizio, magari dovrei tornare in una giornata grigia penso, però credo sia tutto dovuto alla mancanza dell’effetto cattedrale, crea dipendenza quella penombra gotica che mette in risalto la vetrata. Seduto su uno dei banchi in legno chiaro dell’ultima fila, poi, dopo un po’, capisco forse che si tratta di una cosa sola: le vetrate e la chiesa. Bazaine, amico di Manessier tra l’altro, crea un luogo di luce dove ogni cosa si accorda all’altra, la vetrata perde peso. Si forma uno spazio più ampio, prodotto dallo spirito, grazie al colorito in movimento. Un po’ come quando cammini molto e di colpo senti un ruscello. Le decorazioni floreali del soffitto di legno a volta a botte, con molto fogliame, riportano nei boschi dove per i celti la natura è tempio. In un bosco qui vicino si racconta di sassi erratici per riti di fertilità dove le donne si strofinavano al chiaro di luna. Nel coro a volta di ogiva, oltre alla Madonna fluttuante nel suo vestito triangolare ricamato, in una bacheca scopro ex voto in forma di occhi d’argento. E cinque sfere d’agata di una collana-amuleto che si metteva sugli occhi per guarirli. Vedo la sorgente dei riflessi per terra di prima; la vetrata, orientata verso il bosco delle Fate, riguarda i misteri gloriosi. Rivado con lo sguardo agli intrecci delle vetrate nord (come per Manessier a Friburgo la mano del mastro vetraio è quella di Michel Eltschinger) e in realtà potrebbero anche essere fonte di guarigione moderna per gli occhi. Se non altro, lo studio di questo tipo di vetrate da queste parti, è come una spinta finale che aiuta un po’ a superare l’ultimo pezzo d’inverno.