Le terme libere di Combioula

/ 28.10.2019
di Oliver Scharpf

La fermata decisa è La Combaz, qualche chilometro prima del villaggio di Euseigne, in Val d’Hérens. Sopra Sion, punto di partenza in ogni caso dove prendo la posta delle undici e cinquanta. Scendo così a La Combaz, sulla strada, prima del tunnel. Nessun cartello indicativo né niente, solo la stradina prevista a sinistra che scende serpeggiando. Già dopo un paio di curve, mi sembra di essere su un altro pianeta. Le piramidi di Euseigne, a portata di sguardo, non finiscono di stupire. A bocca aperta, incollato al finestrino, mi avevano già lasciato quest’estate passandoci via due volte, in occasione del viaggio ad Arolla per la passeggiata al lago blu. Ma averle qui davanti agli occhi camminando, queste guglie moreniche chiarissime con in testa un enorme masso scuro di gneiss o serpentinite come cappello in equilibrio precario, meravigliano ancora di più. Eppure, non ci sono solo queste piramidi di terra – curiosità geologica classificata monumento naturale d’importanza nazionale chiamata anche camini delle fate come quelli famosi in Cappadocia – a creare lo smarrimento ragionevole che colpisce ogni tanto i camminatori. Contribuisce pure, lassù in cima, lo scintillare accecante della Dent Blanche innevata. La non meno magnetica montagna nuda conosciuta come la Maya, torreggiante sopra St-Martin, sul versante opposto. Il canto mediterraneo delle cicale. La luce vallesana tipica, spietata, cruda, arida, predatrice al punto da non lasciarti scampo e mi ricorda sempre quella provenzale. Il colpo di grazia però, per perdermi del tutto in questo paesaggio, forse me lo danno lassù a Mase, tra gli chalet di larice imbrunito dal sole, le macchioline sparse di rosso estatico scaturito dalle foglie dei ciliegi selvatici.

Una macchina si ferma per darmi un passaggio, grazie per il pensiero ma neanche per idea: per niente al mondo rinuncerei adesso a uno solo dei miei passi. Mucche nere razza Hérens pascolano, due combattono. Dopo una ventina di minuti buoni, una strada sterrata porta verso la Borgne, il cui suono edificante si sente solo ora. Uno chalet chiamato Renaissance mi sembra di buon auspicio. Il cartello dice che siamo arrivati in località Combiuola, indicando tredici altre destinazioni possibili – tra le quali mi colpiscono Ossona e Marguerona – in tre diverse direzioni. Nessuna indicazione per le terme selvagge che dovrebbero essere a fianco del fiume che supero sopra un ponte di legno. Un sentiero entra in una boscaglia e sbuca accanto alla Borgne che scorre senza troppo impeto, color azzurro ghiaccio. Un bacino rotondo dalla trasparenza più tropicale, circoscritto da sassi rossastri, si fa notare. Uno più piccolo accoglie l’acqua che fuoriesce tra quei sassi rosso ruggine. In un attimo mi metto il costume e m’immergo nel bacino più grande delle terme libere di Combioula (693 m). Dove da secoli l’acqua solforosa sgorga da una feritoia nella roccia a ventisette gradi. Lo scenario autunnale attorno è come avvolto da un pulviscolo d’oro. Trovo una posizione con il sole d’ottobre in faccia e strizzo gli occhi beato. Il tentativo di Isaac de Rivaz (1752-1828), inventore del primo motore a combustione interna alimentato da gas idrogeno, di estrarre dei sali da queste sorgenti a inizio Ottocento, sfuma perché finisce i fondi per terminare di scavare la galleria; ostruita tra l’altro nel 1963 per via dello straripamento disastroso di un laghetto alpino. Naufraga anche il progetto termale nato a fine anni ottanta, riguardo a queste fonti menzionate per la prima volta in un manoscritto del Cinquecento – una cinquantina secondo un inventario di Janine Flück dell’Università di Neuchâtel, ottantuno tra i venticinque e ventinove gradi dicono altri – situate al confine tra il comune di St-Martin e quello di Hérémence. Mentre quest’estate in luglio la notizia non da prima pagina: i due comuni, non potendo stabilire con precisione quante sgorgano in un territorio e quante nell’altro, suddividono in parti uguali il profitto e danno in concessione alla società La Foncière de la Dixence SA, le acque di Combiuola. L’idea è portarle su a 1750 metri di altitudine dove stanno costruendo un complesso termale – hotel, appartamenti, chalet di lusso, bla bla bla – vicino alla stazione sciistica di Les Collons.

Intanto fatico a uscire dalla sulfurea vasca di sassi. Faccio uno sforzo ed esco rapido solo per estrarre dallo zaino una bottiglietta di limonata speciale, poi ritorno a mollo. La Mortuacienne, limonata impareggiabile prodotta dal 1921 a Morteau, paesino della Franche-Comté a una decina di chilometri dal confine svizzero. Meno dolce di una gazosa, rinfresca le idee schiarite già in parte dalle diaboliche acque benefiche. Piedi nella Borgne ora, per contrasto. Picnic a base di panino jambon-brie, caffè-cowboy, nussgipfel. Un quartetto di giovani con cani arriva mentre parto. Ritorno da un altro percorso, un sentiero nel bosco, molto più lungo e tutto in piedi. A Evolène, la sera, in una camera scricchiolante anni trenta dell’hotel Ermitage, come Noodles in C’era una volta in America (1984) o le galline, vado a letto presto.