Ormai le città se ne sono appropriate per includerle nel loro tessuto urbano, alla stregua di un quartiere sempre più assimilato: una sorta di città nella città, con la stessa fisionomia, le stesse funzioni, gli stessi servizi. Stiamo, appunto, parlando delle stazioni, oggetto di una metamorfosi che, in queste settimane, ci ha toccato da vicino, suscitando quelle reazioni contrastanti, fra soddisfazione, sconcerto e persino rimpianto, che accompagnano ogni cambiamento. Ma, questa volta, a parte qualche mugugno domenicale rivolto ai «balivi» delle FFS, il Ticino brontolone si è arreso all’evidenza: le nuove stazioni, a Bellinzona e a Lugano, portate a termine in concomitanza con l’apertura di Alptransit, si sono meritate un diffuso compiacimento popolare, sollevando persino un’ondata di orgoglio nazionale. Insomma, guarda un po’, cosa è in grado di combinare la tecnologia elvetica.
Certo, queste nuove strutture, dotate di supermercati, boutiques, ristoranti, snack, farmacie, asili nido, pronto soccorso, fitness, librerie, ecc. sono in grado di appagare, praticamente, tutte le esigenze di una clientela, ben rappresentativa della realtà contemporanea: gente che ha fretta, è di passaggio, è superimpegnata, e non intende rinunciare a niente. Neppure a piaceri d’ordine estetico. Le nuove stazioni, infatti, recano, non di rado, la firma di un’«archistar». E qui doveva imporsi, da precursore, Santiago Calatrava: già nel 90 aveva progettato, a Zurigo, la stazione di Stadelhofen, annoverata fra i «monumenti» cittadini, realizzando, poi, nel 2009, a Liegi, la stazione considerata la più bella al mondo. Ora, in queste operazioni di restyling, avviate soprattutto nelle metropoli, l’obiettivo della bellezza non era, però, fine a se stesso. Si trattava, invece, di riscattare, anche dal profilo sociale e morale, luoghi poco raccomandabili, frequentati da teppisti, vagabondi e tossici. Esempio da manuale, in proposito, la Grand Central di New York, dove un tempo era meglio filar via, diventata, adesso, un’attrazione turistica, addirittura un po’ snob.
In termini, evidentemente meno drastici, l’era delle pimpanti stazioni, luminose e funzionali, comporterà, anche da noi, un cambiamento sul piano umano. Perché, francamente, negli ultimi anni, arrivare, con un treno di notte, nella stazione di Lugano, poteva riservare sorprese sgradevoli. Le stazioni si erano, infatti, create un proprio popolo di frequentatori. E, sia chiaro, non soltanto marginali notturni ma, durante il giorno, pensionati, sfaccendati, curiosi, persone che, in qualche modo, cercavano di far passare il tempo. A Bellinzona, era un’immagine ricorrente: le panchine sui marciapiedi della stazione ospitavano proprio gli ex-ferrovieri, spinti dalla nostalgia per le fatiche di un tempo, legate alle famose Officine. E, altra immagine d’epoca, era la nostalgia per la patria lontana, a riunire negli anni 60 e 70, alla stazione di Zurigo, gruppi di emigrati italiani: «Little Italy», erano infatti chiamate certe sale d’attesa, dense di fumo e di melanconia.
Alla luce di questi ricordi, c’è da chiedersi se le nuove stazioni stile shopping creeranno, a loro volta, una particolare tipologia di frequentatori. Chissà. E c’è pure da chiedersi se le stazioni, belle e forse asettiche di oggi, continueranno a svolgere un ruolo da protagoniste, ispirando romanzieri e cineasti. Si pensi a Trainspotting, il romanzo di Irvine Welsch, tradotto in film da Danny Boyle, che illustrava i tragici effetti di quel passatempo, «contare i treni che passano» su un gruppo di sbandati, a una stazione periferica di Edimburgo. Ma, siamo alla vigilia delle feste, e si deve finire in bellezza, ricordando l’aspetto ameno delle stazioni, che possono ispirare favole toccanti e divertenti. Un esempio ormai classico, il Paddington Bear, inventato da Michael Bond, che racconta le disavventure di un orsetto arrivato per caso in una bellissima stazione londinese, di cui porterà il nome, affrontando l’ingrato contatto con il genere umano. Ma per farsi perdonare, la Paddington Station l’ha immortalato con una statua. Andatela a vedere.