Le sorprese del commercio con l’estero del Ticino

/ 17.05.2021
di Angelo Rossi

Sull’importanza economica del commercio con l’estero non occorre spendere molte parole. Basti ricordare che il suo saldo costituisce una delle tre componenti del prodotto interno lordo, quando questo venga stimato con l’approccio cosiddetto della domanda aggregata. Per esempio, nel 2019, il Pil della Svizzera, pari a 727 miliardi di franchi, risultava dalla somma di 459 miliardi di consumi (privati e pubblici), 178 miliardi di investimenti, e dal saldo positivo del commercio con l’estero pari a 90 miliardi. Quest’esempio ci consente di farci un’idea dell’importanza del commercio con l’estero nel determinare la prestazione economica a livello nazionale.

Da qualche decennio l’amministrazione federale delle dogane pubblica, oltre ai dati nazionali, anche dati regionalizzati per il commercio con l’estero. Fin qui, purtroppo, specialmente nei Cantoni di frontiera, questi dati non servivano gran che perché la loro determinazione poneva una serie di problemi metodologici che attendevano di essere risolti. Ora, come ci informa un interessante contributo, pubblicato da Maurizio Bigotta e Vincenza Giancone nell’ultimo numero della rivista «Dati», l’amministrazione delle dogane ha rivisto il suo metodo di calcolo cercando di risolvere almeno parte dei problemi metodologici di cui era inficiato. Nella vecchia statistica i flussi del commercio con l’estero dei Cantoni di frontiera erano sopravalutati a causa delle merci in transito. I dati della nuova statistica del commercio con l’estero dimostrano che non si trattava di un’inezia. Per il nostro Cantone, nel 2019, il valore delle esportazioni e quello delle importazioni, calcolati con il nuovo metodo, diminuiscono infatti del 28%. Nel 2019 l’economia ticinese che, lo ricordiamo, aveva un Pil inferiore ai 30 miliardi di franchi, avrebbe così, stando alle stime rivedute, esportato merci per 33,5 miliardi (invece dei 47,0 miliardi del vecchio metodo). Il valore delle importazioni si sarebbe attestato sui 41,6 miliardi (con il vecchio metodo erano 57,3). Di conseguenza il saldo della bilancia commerciale ticinese sarebbe, nel 2019, negativo e pari a – 8,1 miliardi (al posto dei – 10,2 miliardi che risultavano dal metodo precedente).

Risolto il quesito del commercio in transito ecco che se ne presenta subito un secondo: quello della composizione dei flussi di merci esportate e importate. A parer mio, una situazione nella quale il valore dei flussi del commercio estero sia più grande del prodotto interno lordo dell’economia in questione è abbastanza eccezionale. I revisori della statistica del commercio con l’estero si sono accorti di questa abnormità che è provocata dal fatto che una quota elevatissima del valore dei flussi di merci importate e esportate dal Ticino è formata dal valore di metalli e pietre preziose nonché da quello di oggetti d’arte e di antichità. Ma in un Cantone che non ha risorse minerarie, la congiuntura economica non può dipendere solamente dall’evoluzione del prezzo dell’oro, o no? Hanno quindi pensato di calcolare gli aggregati del commercio con l’estero distinguendo tra totale complessivo (le tautologie non fanno paura all’amministrazione delle dogane) e totale congiunturale.

Nel totale complessivo sono compresi i valori dei flussi di metalli e pietre preziose, antichità e opere d’arte, mentre nel totale congiunturale queste merci non vengono ritenute. Di conseguenza il valore delle esportazioni del Ticino si riduce a 1/4 del totale complessivo e quello delle importazioni a 1/3 circa. Ma non è tutto, perché c’è anche il problema della provenienza e delle destinazioni: i flussi del totale congiunturale hanno una geografia diversa di quelli del totale complessivo. Se ritenessimo solo il totale complessivo risulterebbe che i partner commerciali più importanti del Ticino non sono, come sono invece per la Svizzera, i paesi confinanti, ma paesi asiatici come l’India, la Cina e Singapore per le esportazioni, gli Emirati Uniti, Hong Kong e il Vietnam per le importazioni. Quando si deciderà l’USI a introdurre una cattedra per l’economia di frontiera?