Le scelte sono sempre politiche

/ 04.05.2020
di Peter Schiesser

Esiste la certezza scientifica? Sì, certo; fino a che non viene sostituita dalla prossima. È sempre stato così. Se poi l’oggetto della ricerca è qualcosa di sconosciuto come il Covid-19, diventa ancora meno indicato considerare definitiva ogni conclusione cui si giunge. Anche perché in questo e in molti altri casi troviamo scienziati con teorie diverse. In fondo, nella vita dovremmo accettare l’incertezza ultima di fronte alle cose, anche quelle studiate dalle scienze, nel caso del Covid-19 ancora di più. Ma qui l’incertezza pesa forse ancor più della paura. Per cui chiediamo certezze. Certezze con cui concordare.

Per esempio, sul grado di infezione e la contagiosità dei bambini e dei ragazzi. Il delegato per il Covid-19 dell’Ufficio federale della sanità Daniel Koch è convinto che i bambini quasi non si ammalano, non si contagiano fra di loro e semmai prendono la malattia dagli adulti, per cui continua a sconsigliare di dare i bambini in accudimento ai nonni, i quali però possono tornare a rivedere i nipoti e permettersi anche un abbraccio, considerato che il basso numero di contagi giornalieri raggiunto ora rende minimo il rischio di contagio fra nipoti e nonni. Daniel Koch non è certo l’unico a pensare che i bambini (fino ai 10 anni) non sono i vettori del contagio da Covid-19: lo sostiene anche Marcel Tanner, professore emerito di epidemiologia dell’Uni di Basilea e membro della Task Force scientifica sul Coronavirus, che aveva il compito di analizzare la letteratura scientifica esistente in proposito. Altri studiosi sono invece più cauti. Fra questi c’è Alessandro Diana, pediatra e ricercatore infettivologo all’Università di Ginevra (vedi a pagina 15), secondo il quale per ora c’è sì una gran quantità di studi di osservazione, ma non ancora delle evidenze scientifiche. Anzi, sul numero di minori che entrano in contatto con il virus c’è ancora da indagare.

Per combattere questa pandemia, i governanti affermano di fondare la propria strategia su pareri scientifici. Il fatto che possano divergere da paese a paese mostra infatti che vanno intesi come «pareri». Le decisioni alla fine sono politiche e i politici tendono a favorire le prove che sostengono i loro argomenti, come suggerisce la sociologa Jana Bacevic sul «Guardian» (28.4.2020). Al politico, scrive la Bacevic, interessa sapere come intervenire per evitare la tal cosa, piuttosto che sapere qual è la miglior scienza a proposito di. La presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga l’ha detto, giovedì scorso: «Abbiamo scelto una via di mezzo», fra le esigenze economiche e quelle sanitarie. Le scelte sono dunque politiche, certo sorrette da argomentazioni scientifiche, ma noi cittadini le dobbiamo prendere per quelle che sono: dei tentativi di disinnescare un’emergenza senza precedenti, tra l’altro influenzati da fattori esterni (resisterà il distanziamento sociale?) che sfuggono al controllo dei governanti.

Per noi questo significa dover uscire dall’illusione che chi ci governa ha la verità in bocca e la bacchetta magica in tasca. La prima fase è stata dura ma per certi versi anche facile (ci si proteggeva stando a casa), la seconda presenta nuove difficoltà, dovremo vivere con il virus, come ha ricordato anche Sommaruga. Quindi con il rischio, con la prudenza, accettando che serve un po’ di paura e un po’ di ottimismo per vivere. Tuttavia, vorremmo anche sapere dove ci si vuole portare (questa domanda, di un collega, mi risuona da giorni): qual è la strategia di fondo dei governi, federale e cantonali, si accetta che ci si infetti tutti (in quantità gestibili dagli ospedali) finché non arrivano vaccini e medicamenti, riduciamo al minimo i contagi, o li annulliamo? Con parole chiare non mi pare sia stato detto.