Cara Silvia,
da anni la seguo entrando in punta di piedi nella «Stanza del dialogo». Le scrivo perché mi pare giunto il momento di affidarle la mia voce. Sono una donna quarantenne che, come molte e molti, ha alle spalle un’infanzia caratterizzata da un rapporto incestuoso in una famiglia in apparenza normalissima.
La mia prima presa di coscienza, la mia adolescenza, è stata un deserto senza fine: comportamenti autodistruttivi e terrore. Terrore costante.
Passano poi gli anni e, con un pizzico di fortuna e grazie all’istinto e a una volontà ferrea riesco comunque a prendere decisioni forti: mi realizzo professionalmente, creo legami affettivi esercitando sempre un grande controllo su me stessa e sugli altri… Impiego anni ed energie anche solo per riconoscere cosa m’imprigiona: non abito il mio corpo, la mia mente, i miei sentimenti, le mie parole. Vivo in un guscio vuoto.
Finalmente, dopo essermi affidata alla religione, all’omeopatia, all’alcol, alla meditazione, al sesso, alle lacrime, al controllo del cibo, al fascino del suicidio e delle droghe, dopo aver somatizzato tutto, mi confido col mio medico. Lui – letteralmente – mi prende la mano e ascolta il mio pianto. Un pianto silenzioso, composto, di pietra che si scioglie piano piano. Inizio così un lungo viaggio. Entro in analisi con un bravissimo psicologo e, col suo aiuto, con fatica e con dolore, mi riapproprio di quello che sono. Scopro la meravigliosa sensazione di abitare me stessa, di essere protagonista della mia vita, di avere voce, PAROLA in capitolo. Apparentemente cambia poco. In realtà cambia tutto…Ora ho una famiglia, dei figli meravigliosi, un lavoro che mi appassiona, un nuovo sorriso. E un futuro… La saluto con gratitudine e affetto. / Vera
Cara Vera,
la ringrazio per aver condiviso con noi un percorso esistenziale difficile e doloroso ma carico di speranza per tutti coloro che hanno affrontato o stanno vivendo esperienze così distruttive.
Sulle relazioni incestuose nella famiglia c’è ancora molta omertà ma, se conoscessimo i danni che provocano, saremmo meno distratti e indulgenti. Proprio perché si svolgono nello spazio ristretto e affollato della casa è improbabile che nessuno se ne accorga, che non abbia per lo meno dei sospetti, ma il silenzio sembra troppe volte la soluzione migliore per salvaguardare il buon nome della famiglia e la dignità dei suoi componenti. La vittima, quasi sempre una bambina o un bambino, viene così lasciata sola, incapace di comprendere, nella confusione tra amore e violenza, che cosa stia succedendo.
Non mi soffermo sulle conseguenze perché lei le descrive così bene ( basta la metafora del «guscio vuoto»!) che sarebbe superfluo aggiungervi dell’altro. L’importante è riflettere su quanto sia importante trovare una persona, almeno una, che sia capace di offrire a chi soffre un ascolto consapevole e partecipe. In questo caso è stato un medico, ma potrebbe essere un parente, un insegnante, un allenatore, un amico.
Il blocco di pietra che racchiudeva il corpo violato di Vera si scioglie quando lei trova le parole per dire ciò che era stato condannato al silenzio. Ma solo la «parola vera», capace di esprimere le emozioni e di condividerle, sa realizzare questo portento. Nelle psicoterapie il passato non viene cancellato ma messo in prospettiva, posto sullo sfondo in modo che non invada il presente e obnubili il futuro. Nella lenta tessitura del dialogo, Vera si è ricomposta ritrovando l’unità corpo-mente infranta dalla più subdola delle aggressioni. La sua esistenza le è stata riconsegnata perché possa viverla all’insegna della libertà e dell’autenticità.
Ma, come sempre, vorrei riservare un momento alla prevenzione, tentare di comprendere che cosa possiamo fare perché comportamenti così perversi non accadano più. Per prima cosa vorrei distinguere tra l’amore-passione e l’amore-tenerezza: il primo deve essere riservato agli adulti mentre il secondo, che è proprio della madre, deve contraddistinguere le relazioni tra grandi e piccoli. La tenerezza richiede che l’affetto sia depurato dalle componenti sessuali, che sia discreto, delicato, mai intrusivo e prevaricante.
Dovremmo inoltre affinare la sensibilità per cogliere il malessere dei bambini anche quando non viene esplicitamente dichiarato. In ogni caso, mai far finta di niente, volgere la testa dall’altra parte pensando che i bambini sono fantasiosi e che certe cose se le inventano. Noi adulti siamo responsabili, tutti, della loro integrità e del loro benessere. Sarebbe poi opportuno che, fin dalla più tenera età, venisse insegnato il senso e il valore del pudore. Alcune parti di noi, del nostro corpo e delle nostre sensazioni, debbono restare riservate, non per moralismo ma perché simbolizzano il fatto che non tutto è a disposizione di tutti. Esistono esperienze che saranno condivise, a tempo debito, con le persone con cui costruiremo una relazione amorosa reciproca e responsabile.
Poiché il fragile corpo dei bambini custodisce il futuro, cerchiamo di considerarlo come le risorse naturali e le realizzazioni culturali: Patrimonio dell’umanità.