Le pozze di Santa Petronilla a Biasca

/ 21.08.2017
di Oliver Scharpf

È tutta l’estate che mi occupo di pozzoni, neanche il tempo di andare in vacanza. Osogna spesso, repertoriato qualche anno fa su queste pagine, Tegna idem. Maglio di Aranno, Iragna, Sigirino, Cresciano, gole della Breggia. Un paio poi sono segreti, insvelabili, esoterici. Tra questi, scovato soltanto quest’anno, il mitico Tropico alpino. Altro che «Le Maldive di Milano» come sono state enfaticamente soprannominate alcune settimane fa, in un video postato su youtube che ha spopolato in rete, le pozze della Verzasca all’altezza del ponte dei salti. Finite sulle pagine del «Corriere della Sera» ne ha parlato persino la BBC. Posto del resto già turisticamente stranoto – quasi Rimini quando ci sono andato per un pezzo uscito nel luglio 2013 – invaso così ancora di più da un carnaio di pecoroni modaioli. Le pozze del Tropico alpino non sono le Maldive di nessuno e non sono le Maldive, si tratta soltanto di uno dei posti più stupefacenti al mondo.

L’altro giorno, al bar Mondo di Biasca, stavo elogiavo il pozzone di Iragna quando una signora mi fa che anche le pozze di Santa Petronilla valgono la pena. Già la cascata di Santa Petronilla era un soggetto papabile da anni: da sempre, quando il treno passa dalla stazione di Biasca, mi regala uno sprazzo di stupore per quella particolare caduta d’acqua a incrocio. Come adesso. In cammino, lassù sopra le rotaie, ora si scorge bene anche il ponte romano. Il sentiero parte alle spalle di San Pietro e Paolo, una tra le più belle chiese romaniche del Ticino, snodandosi in una selva castanile costellata da quattordici cappellette. Una piacevole via crucis rallegrata dal bianco, come di pizzo, del fior di carota selvatica che in alcuni casi si chiude a nido d’uccello o a sfera. Una ventina di minuti ed ecco l’umile ponte romano bellissimo che supera da secoli, il riale della Froda. Sotto il ponte, un grande pozzone cristallino, a strapiombo sopra la famosa cascata.

L’oratorio in sassi di Santa Petronilla sorge dal 1632 lì su quel dosso dopo il ponte. Sulla sinistra, tra gli scenografici sassi, adocchio le due pozze potenziali. Dodici scalini in pietra portano però prima al sagrato erboso; sotto la feritoia a croce, un affresco sbiadito a tratti quasi svanito. A stento si decifra la figura della santa patrona degli alpinisti dal buffo nome. Intorno castagni secolari accrescono la forza del luogo, scivolo tutto sudato nella pozza ombrosa a monte. La cascatella è un insuperabile jacuzzi per la schiena. Due ragazzi si tuffano spericolati, prima uno poi l’altro, da una roccia in alto. Parto subito a piedi nudi verso il pozzone sotto il ponte, cinque minuti giù da un ripido sentiero di pietre scottanti distratto solo dai ceri fioriti del verbasco. Qui tanti si abbronzano come aragoste, i meno giovani stanno anche solo a bordo pozzone per il refrigerio, io mi tuffo senza esitazione. Non male, ma l’acqua è meno fredda rispetto a so-pra.

Un incavo stretto di roccia porta a un secondo pozzone, bisogna infilare le dita in un foro fatto apposta per tirarsi su e passare, come nei videogame, al secondo schema. Un sogno d’acqua spumeggiante e roccia liscia dove scroscia una possente cascata. C’è un po’ di traffico però, ritorno su pen-sando a quello che mi ha raccontato la signora al bar Mondo: un tipo anni fa si è tuffato dal ponte e ora gira in sedia a rotelle. Una coppia in costume sulle due panche fuori la chiesetta, sbircia in ginocchio tra le grate, gli affreschi dentro. Nel buio, prima, ho acciuffato una sirena. Ora un rospo è immobile su un sasso algoso. Ancora dentro nella pozza preferita, facendo il morto, abbraccio un pezzo della gola della Froda che nasce su all’Alpe di Lago e le fronde tranquillanti degli alberi. Poi mi sdraio sui sassi levigati al sole. Oltre il ponte a schiena d’asino, si apre un panorama che arriva fino all’imbocco della Leventina. L’abitato di Personico, la piega della Val d’Ambra, lassù il Pizzo Forno. Cumulonembi mutano adagio nel cielo. Un castagno tra tutti, spicca accanto al ponte, monumentale e pieno di ricci verdi. Tre locali giocano a scopa, due ragazze lettoni si fanno immortalare da un loro amico con il natel. Ancora acqua bella fredda e poi al sole, tutt’uno con gli avvallamenti di gneiss la cui anatomicità è qualcosa.

La cura dei pozzoni ha effetto dopo il quinto o sesto contrasto freddo-caldo: atemporalità benefica, calma olimpionica, religiosità selvaggia, appartenenza, per un pomeriggio o tutta la vita, a questo luogo. In controluce ora il ponte sembra un’aureola che incornicia e perdona il mostruoso palazzone giù in basso. E via in acqua. Più che un’occupazione sto coltivando una fortissima dipendenza da quest’acqua. Il sole di una fine pomeriggio a metà agosto filtra tra le fronde, il caldo sahariano è annientato. Ragionevole sarebbe restare qui a mollo nelle pozze di Santa Petronilla (325 m) fino al tramonto. Ma vi confesso che non sono tanto da tramonti e poi devo andare a scoprire i grotti di Biasca: gazose Starnini a go go. Dopotutto, pozzone e gazosa al grotto, si sa, è un po’ un irrinunciabile combo.