«Le cose non si percepiscono per quello che sono, ma per come appaiono». Perché ai giorni nostri godono ancora di tanta fortuna i consigli di un acuto moralista come Baltasar Gracián? Fra il Cinquecento e il Seicento nelle grandi letterature d’Europa si assiste alla fioritura di un genere di scrittori che si dedicano a una lucida indagine sulle passioni dell’uomo. Da Machiavelli a Pascal, da Montaigne a Gracián, da Burton a Torquato Accetto, da La Rochefoucauld a La Bruyère. Si tratta di autori grandissimi che hanno in comune una volontà talvolta feroce di giungere al «fondo dell’anima». Osservare il mondo, studiarne i fenomeni, trarne conclusioni che abbiano un valore condivisibile e che fungano da radiografie del tempo presente. Questo hanno fatto gli autori che Giovanni Macchia ha definito «moralisti classici».
Questo ha fatto Baltasar Gracián con il suo Oracolo manuale ovvero l’arte della prudenza (Adelphi, trad. Giulia Poggi). Poco o nulla si sa dei primi anni di vita di Gracián. Entrò nel collegio dei gesuiti di Huesca, dove nel 1627 fu ordinato sacerdote e nel 1631 emise i voti definitivi. Dal 1642 al 1644 fu vicedirettore del collegio di Tarragona, dove fu cappellano militare sul campo di battaglia di Lerida durante la Sollevazione della Catalogna. Al termine di questa campagna militare si ammalò e fu quindi inviato a Valencia in convalescenza. Grazie alla magnifica biblioteca dell’ospedale di Valencia preparò una nuova opera, El Discreto (Il Discreto) che fu pubblicata a Huesca nel 1646. Tornato in questa città insegnò teologia morale fino al 1650. Fu durante questo periodo che poté più attivamente dedicarsi alla letteratura. Pubblicò Oráculo manual y arte de prudencia (1647) e la seconda versione del Trattato dell’acutezza (1648). Con la pubblicazione della prima parte della sua più importante opera letteraria El Criticon (Il Criticone), apparsa nel 1651 sotto lo pseudonimo di García de Marlones e senza il preventivo consenso dei suoi superiori, padre Gracián si attirò l’accusa di scrittore mondano. La seconda parte fu pubblicata nel 1653. Le critiche all’interno del suo Ordine si resero più aspre alla pubblicazione della terza parte nel 1657. Critiche che gli procurarono la destituzione dalla cattedra di Sacra Scrittura che teneva a Saragozza dal 1652, il divieto di predicare e infine l’esilio.
A partire dal 1658 Gracián fu confinato a Graus, un paesino nei dintorni di Huesca. Dopo poco tempo scrisse al Generale della Compagnia per sollecitare il suo ingresso in un altro ordine religioso. La sua domanda non fu accettata, ma si decise di attenuargli la pena: nell’aprile del 1658 fu trasferito al collegio di Tarazona. Nell’Oracolo sono contenuti trecento aforismi sulle fondamentali norme di comportamento per l’uomo di Corte. Sono istruzioni attraverso cui Gracián traccia un ritratto del perfetto cortigiano che sa conquistarsi la stima e il rispetto dei potenti senza venir meno ai propri principi. Solo il silenzio è il santuario della prudenza, l’uomo deve imitare quel gran politico che è Dio, il quale, chiuso nella sua oscurità, tiene gli animi in sospeso e non comunica quale sia il destino che ci attende.
Come scrive Marc Fumaroli, «nel suo ruolo di mentore dei cristiani adulti e laici, Gracián ebbe l’audacia di varcare un confine pericoloso. I teorici della Ragione di Stato del Cinquecento avevano ammesso che il Principe cristiano potesse, a vantaggio del bene comune e solo in talune circostanze (oltre alla guerra), agire al di fuori della legalità e della morale ordinarie. Gracián è un Machiavelli della morale privata nella misura in cui ammette che il bene possa far ricorso alla falsità e all’astuzia. Per i cattolici giansenisti del tempo si trattava del massimo grado di permissivismo morale, peccato di cui accusavano i gesuiti. Dal punto di vista di Gracián, invece, queste gravi licenze erano ampiamente giustificate e legittimate dall’intenzione generosa che anima il grande spirito prudente. (...) queste massime di Gracián hanno il merito di ricordarci che non dobbiamo né rifiutarci di vedere la bassezza umana, né rifiutarci di credere alla nobiltà umana e prima di tutto in noi stessi».
Apparenza, artificio: tutta l’arte morale di Gracián è un commento a queste due parole. Il segreto, il calcolo, il controllo, l’astuzia, talora la perfidia si celano in un gesto, in un inchino, in una battuta supremamente elegante. Tutto deve apparire come naturale e disinvolto: «Imparate a far uso della stupidità. L’uomo più accorto sa giocare le sue carte al momento giusto. Ci sono occasioni in cui l’astuzia migliore consiste nell’apparire sciocchi (...). Non è bene apparire saggio fra i folli né savio tra i lunatici. Colui che si atteggia a pazzo non lo è. Il miglior modo di essere ben ricevuto da tutti è rivestire la pelle del più ottuso tra i bruti».