Le ombre del domani

/ 29.05.2017
di Franco Zambelloni

Sempre più spesso capita di avvertire segnali che annunciano trasformazioni sociali e culturali che vanno profilandosi all’orizzonte; linee di tendenza che segnano una via ancora incerta, ma che probabilmente è inevitabile percorrere. E, lungo il percorso di questa via, cala la sera e scende il buio.

Un segnale che avverto sempre più nettamente è dato dal proliferare di libri che s’interrogano sull’imminente futuro: i cambiamenti in atto, che si succedono sempre più rapidi, travolgono convinzioni e modi di vivere che sono durati per secoli; nuove possibilità meravigliose si aprono come finestre sul sole; ma quella luce annuncia anche un tramonto.

Il tramonto traspare nell’inquietudine delle domande che accompagnano l’affacciarsi di nuove conquiste: ci sarà ancora lavoro per gli uomini, ora che le macchine li vanno sostituendo? E che ne sarà dei troppi disoccupati? La medicina e le biotecnologie promettono nuove sorprendenti terapie e favolosi prolungamenti della vita; ma come reggerà la società allo squilibrio tra le generazioni e alla gigantesca crescita dei problemi dell’assistenza sociale? Come sopravvivranno le botteghe e i supermercati nell’era dell’e-commerce? Quante aziende chiuderanno sotto la pressione della globalizzazione? Si potrà uscire dall’instabilità finanziaria? Saremo sempre connessi in rete, grazie agli occhiali digitali e ad altri impianti tecnologici; ma che ne sarà dei rapporti umani e delle amicizie reali che si dissolvono nelle relazioni virtuali? Fino a quando reggeranno le fonti energetiche, con un consumo di energia che cresce costantemente? Si riuscirà a porre fine al terrorismo che dilaga? E si potrà porre un freno al degrado dell’ambiente?...

Le domande potrebbero continuare e continuare, ma è inutile farlo: non ci sono risposte. O meglio, ce ne sono moltissime – quelle ottimistiche, quelle pessimistiche e quelle catastrofiche. Il che vale a dire: nessuna risposta. Tutto è possibile. E fin qui, nulla di nuovo: tutto è sempre stato possibile. Solo che, per quasi tutta la storia dell’umanità, ogni generazione vedeva ancora un mondo abbastanza ripetitivo; oggi il cambiamento incalza, e nessuno lo dirige: il «progresso» assomiglia a una macchina impazzita che procede con accelerazione crescente, senza direzione e senza meta. Servirebbe un governo mondiale per progettare un futuro consapevole; ma una simile soluzione – che Kant suggeriva nel 1795 come unica via per garantire una pace perpetua – è ben lontana dall’apparire realistica.

Certo, non è il caso di abbandonarsi al pessimismo e allo sconforto. Ogni epoca – e quella contemporanea in particolare – è sempre stata contrassegnata da momenti di crisi dai quali si è sempre usciti (per passare magari a quello successivo): quando, nell’Ottocento, la rivoluzione industriale sconvolse tutta l’economia agricola e commerciale, ci fu chi, come Marx ed Engels, credette che solo una rivoluzione mondiale avrebbe posto fine alle terribili condizioni della classe operaia e allo sfruttamento del proletariato; poi, da quelle stesse industrie che avevano esasperato la povertà, venne un benessere crescente che accompagnò e sostenne l’evoluzione verso l’equità e la solidarietà sociale. Dunque, non necessariamente ogni grande trasformazione storica presenta solo aspetti drammatici; ma sono proprio le fasi di transizione dal vecchio al nuovo le più difficili da affrontare. Ecco perché uno sguardo lungimirante, capace di intravedere il futuro, potrebbe aiutare ad accoglierlo senza troppi traumi.

D’altra parte, il nostro tempo è anche poco incline a preoccuparsi del futuro; anzi, l’antropologo Marc Augé, nel suo libro Che fine ha fatto il futuro?, sostiene che per la gente d’oggi il futuro è praticamente sparito: si vive immersi nel presente, in un consumo immediato di piaceri che toglie il bisogno di sperare in un domani migliore e la voglia di progettare e costruire un futuro diverso dal presente.

Così oscilliamo tra un presente statico e un futuro che incalza con le sue incognite e addensa ombre – ombre nuove e altre già note: nel 1935 lo storico olandese Johan Huizinga pubblicò Nelle ombre del domani, il libro in cui s’interrogava sui cambiamenti profondi, in campo etico e morale, indotti dal prorompere dei nazionalismi. Sarà una pura coincidenza, ma i nazionalismi sembrano riemergere con forza crescente anche oggi, nell’era della globalizzazione.

Le luci e le ombre si accompagnano sempre, non c’è una luce che non proietti anche un’ombra.