La busta la portò in casa Sara, alle otto di sera, tornando dal week end a Pescia Fiorentina, nella casa di campagna dei genitori di quella che avrebbe potuto continuare a essere la sua miglior amica, se non avesse incominciato a invidiarla.
Può essere la tua migliore amica una tipa che possiede un casale di pietra con la piscina, un appartamento a Parigi e duecento metriquadri con terrazza a Roma? Le migliori amiche devono essere piazzate come te nella vita, se no non puoi confidare nessun segreto che non sia inventato, perché se le dici la verità le fai pena e poi magari sua madre ti regala le sue camicette smesse come ha fatto prima di ripartire dalla campagna. E tu ti senti di merda.
Sara aveva le chiavi di casa ma preferiva suonare il campanello. Le piaceva che sua madre aprisse la porta e la abbracciasse e le dicesse «Come è andata, raccontami!» , quasi fosse tornata da un lungo viaggio avventuroso.
Dovette suonare due volte. E aspettare.
Quando aprì finalmente la porta Betta era scalza, indossava una canottiera sopra i pantaloni del pigiama e aveva pianto. Sara decise di non accorgersene.
«Ho fame, cosa c’è da mangiare?»
Si era servita volontariamente del tono numero 3, quello che sua madre detestava, il tono «adolescente aggressiva». Gli altri due erano «cucciolo adorabile» e «donnina giudiziosa». Betta la guardò aprire il frigo, attese il suo scoppio di legittima rabbia come si attende il tuono dopo il fulmine.
«Ma non c’è un cazzo!».
«Credevo che rimanessi a cena dai Fortuzzi».
«Sì, magari gli va di adottarmi, vuoi che glielo chieda?»
Se ne accorse subito dopo, Sara, che sua madre aveva il viso rigato di lacrime nere di rimmel. Si sentì in colpa, ma non sapeva come rimediare.
«Magari faccio due spaghetti. Dov’è il problema?», disse azzeccando un perfetto tono «donnina giudiziosa».
Il risultato fu un rinforzo di pianto.
Sara rimase in piedi a guardare sua madre mentre singhiozzava in quel suo modo scomposto e irrefrenabile. Faceva così soltanto quando litigavano, suo padre e lei. Capitava abbastanza spesso, da quando tutti e due uscivano poco. Da quando lei aveva smesso di farsi bella per partecipare a un provino e di tornare a casa eccitata , convinta che l’avrebbero presa. Da quando lui aveva incominciato a parlare al passato di un film che non aveva mai iniziato a girare. Come se fosse stato realizzato e fosse andato male.
«Mamma dai...», disse, e sentì che avrebbe potuto piangere anche lei.
Betta si soffiò il naso e cercò di riprendere il controllo.
«Hai litigato con papà?», Betta annuì.
«Scusa,» disse «scusa, cucciolo adorato. Papà è andato a pranzo dalla nonna e mi ha mandato un messaggio che si fermava lì, per qualche giorno... ti rendi conto? Erano le mogli che dicevano: torno da mia madre! Non i mariti. I mariti erano solidi, una volta. Invece lui... pur di non vedermi per un po’ è andato a vivere nella sua cameretta con i poster dei Joy Division appesi sopra il letto... avesse i soldi se ne andrebbe in albergo, evidentemente Nick e Eva non gli hanno concesso il divano delle pause di riflessione, perché le chiamiamo così noi, cioè loro... quelli che se ne vanno, chiamano così le loro fughe, ho bisogno di una pausa di riflessione».
La desolazione, la pena per sé stessa, stava sfumando nel risentimento e questo era certamente un passo avanti, ma non doveva sfogarsi con Sara, Sara era sua figlia, non era una sua amica, andava guidata formata e protetta, non inondata di confidenze disperate.
«Scusa,» disse di nuovo, «posso chiedere due uova alla vicina e farti una frittata». Si alzò.
E allora Sara si ricordò della busta che aveva preso nella buca delle lettere e infilato in una tasca dei pantaloni. Gliela porse. «C’era questa per te, sotto. Magari è papà che ti dice che torna».
Betta guardò la busta, c’era scritto «Per Betta», e non era la calligrafia di Tom.
Su un cartoncino lillà chiaro lesse una frase ampollosa e misteriosa, vergata con inchiostro viola in un corsivo ornato. «Non se ne abbia male, per questo ruvido omaggio, lo consideri per quello che è». Ben stirati, fra il cartoncino e la busta, c’erano 5 banconote da 100 euro.
«Soldi?!» , disse Sara, con un tono che non avrebbe saputo a quale categoria ascrivere, un puro precipitato di stupore, «Mamma, chi è che ti ha mandato dei soldi?»
Betta sorrise in ritardo e mentì con precisione: «È per una serata che ho fatto l’estate scorsa, tu eri in campagna coi Fortuzzi. Mi metto qualcosa e andiamo a mangiarci una pizza».
Sara incominciò a saltare felice. Betta decise di provare, verso il vecchio, soltanto gratitudine.
Per ora. (Continua)

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di Lidia Ravera