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Le nuove povertà/17

/ 05.04.2021
di Lidia Ravera

Quando Tom entrò nel ristorante «da Pierluigi» Noemi era già seduta a un piccolo tavolo rotondo lontano dalla luce. La vide subito, ma finse di non vederla e si passò una mano fra i capelli. Livia alzò un braccio, sorridendo alla porta. Tom pensò che sicuramente era stata, a suo tempo, una vera bellezza.

Come un passaporto , quel che restava di quel passato lusinghiero, permise a Noemi di varcare la soglia misteriosa della relazione uomo-donna senza ulteriori intoppi.

Come nelle cene di corteggiamento mangiarono poco, bevvero il più possibile e ostentarono una sovrana indifferenza per l’ottimo filetto in crosta, ordinato da Livia e accettato da Tom senza commenti. Proprio lui che, ai tempi in cui ancora aveva i soldi per portare a cena fuori Betta, investiva un minimo di quaranta minuti a studiare il menù. E contrattava le mezze porzioni.

«Ottimo, va bene anche per me», disse, sofisticato e distratto, poi prese a parlare di Rossellini con deferenza e passione, dei cosiddetti rosselliniani, con meditato sospetto. Li accusò di aver fondato il neo-irrealismo, falsificando la realtà con le buone intenzioni.

Noemi decise di dedicargli il suo antico sguardo, un concentrato di femminilità d’antan: occhi sgranati , lenti a contatto verde bottiglia, ciglia pesanti di mascara, palpebre immobili, labbra semiaperte. Una simulazione di rapimento intellettuale e parossistica curiosità che le aveva fruttato in altri tempi la gratitudine degli uomini e che non esercitava da qualche anno.

Non tanto perché, nonostante le punturine di acido ialuronico cui si sottoponeva ogni mercoledì, era invecchiata, quanto perché aveva fatto carriera. Senza volerlo, senza farci veramente caso, quasi ostacolando sé stessa, varcata la dolorosa menopausa, ancora bella com’era , si era spaventata dell’ipotesi di cadere dal cuore degli uomini per l’inevitabile aumento di potere e stipendio.

Aveva provato a fare un passo indietro.

Non c’era riuscita. Quindi era diventata vicedirettore della filiale romana di una banca d’investimenti tedesca, sentendosi fuori posto.

Eppure, era proprio grazie a quella volgarità maschile, il potere dei soldi, così meno elegante di quello della seduzione, che si trovava seduta davanti a quel quarantenne da premio.

Gli piaceva tutto di lui: le spalle ampie, la magrezza, lo sguardo affamato e quella tensione muscolare che soltanto un’ambizione sfrenata e frustrata può provocare in un uomo.

Per distrarsi dal desiderio (era una magnifica novità, ma andava represso) rise alle invettive di Tom sui colleghi registi più fortunati di lui, ometti che si erano venduti al demone del mercato, e che non conoscevano il cinema. Gente per cui il massimo del classico è Quentin Tarantino, di cui non sanno, comunque, riconoscere la parentela con Godard eccetera eccetera.

Pensò che stava ascoltando quella lezioncina di cultura cinefila perché gliela stava ammannendo un uomo che volentieri avrebbe spogliato. Un uomo dalle mani grandi e dagli occhi penetranti. Benedetto da una timidezza sfrontata. Esther, la cara e bizzarra Esther, gliel’aveva detto senza perifrasi: mio figlio è un ragazzo buono e sveglio, ma non dà niente per niente. Del resto: tutti quelli della sua generazione sono così. Fanno troppa fatica a far fruttare i loro talenti, in un mondo in cui il posto è poco e gli aspiranti sono troppi, perciò, dopo i primi tentativi, li seppelliscono e vanno a scavare altre strade.

Noemi si era profusa in complimenti per tanta lucidità, non avendo figli era abituata a considerare le madri come delle invasate convinte, tutte, d’aver messo al mondo il Bambin Gesù.

Poi era arrivato, inatteso, proprio il figlio in questione. Bello, trasandato, sofferente, e aveva subito raccontato di aver litigato con la moglie, facendole ridere, come uno stand-up comedian abituato a fare dello spirito sulle disgrazie della famiglia umana. Si era sentita, improvvisamente, fragile, le era salita, come una febbre, quel senso di debolezza che preludeva all’innamoramento.

E quando Tom aveva incominciato a parlare del documentario per cui non riusciva a trovare uno straccio di finanziamento, le era parso giusto, inevitabile, necessario, offrirgli un prestito, a un tasso agevolato e senza tante garanzie.

Non si aspettava che, pochi giorni dopo, lui l’avrebbe invitata a pranzo.

Tanto meno che pagasse il conto. Ma Tom fu irremovibile.

«Tu sei una donna e io sono un uomo», disse. Livia sentì un brivido sotto la pelle per quella frase apparentemente elementare.

«Ma io sono più grande», disse, arrossendo.

Tom stava per confessare: «Tranquilla: il bancomat è di mia madre», invece disse: «Le donne belle non hanno età».