Si guardarono, immobili, lì sulla soglia di quel loro appartamento troppo piccolo, per un tempo che a Tom sembrò infinito e a Betta brevissimo. Poi lei prese i fiori che lui le porgeva e lui la abbracciò, schiacciando i fiori.
«Facciamo pace, vuoi?», le mormorò nel collo. Betta lo allontanò, non voleva cedere. Non voleva fare l’amore, ma non voleva nemmeno consegnarsi al disamore. Pensava: avrà chiesto un prestito a sua madre e invece di pagarci la bolletta che fra una settimana ci tagliano la luce, si è comprato una giacca nuova e ha tentato di comprare il mio perdono con dodici rose bianche.
«Me l’ha regalata Esther, tre giorni di anticipo sul mio compleanno. Siamo andati per negozi insieme».
Aveva il vezzo di chiamarli per nome, Esther e Candido, i suoi genitori.
«Lo facevamo quando ero piccolo: il pome-priccio, il pomeriggio capriccio, andavamo in giro per negozi, e lei mi comprava tutto quello che volevo».
Betta pensò che gliel’aveva raccontata un centinaio di volte quella storia, ci teneva a ricordare a tutti e due quanto la sua famiglia fosse speciale. Due intellettuali dalla vita brillante, benestanti senza sfarzo, solidi, spiritosi.
«Bella», disse, sfiorandogli la manica della giacca. Poi disse: «Quanto sei riuscito a scucirle, oltre il pome-priccio?». Si odiò per la pesantezza della domanda, provò a sorridere, aveva un modo di sorridere che piaceva agli uomini, abbassava le palpebre, chinava la testa e scoccava, come una freccia lenta, quel sorriso segreto. Tom ricevette il sorriso senza cambiare espressione.
Betta mise i fiori nell’unico vaso della casa. In silenzio. Si sentiva addosso lo sguardo di Tom, stoico, virile, offeso. Il fatto che non le avesse risposto doveva farla sentire esattamente come si sentiva: una Santippe, una megera avida e calcolatrice, incapace di gradire un mazzo di fiori senza fare i conti. Quanto li hai pagati? Quanto dureranno? Prima che il silenzio diventasse ostile, disse:
«Ti va un piatto di gamberetti saltati in padella?»
Tom le afferrò una spalla mentre sbucciava uno spicchio d’aglio. «Non ho chiesto soldi a Esther».
Il tono era passivo aggressivo, il sottotesto stava diventando, col trascorrere del tempo, sempre più frequente: tu non sai quanto valgo, tu credi che il valore di un uomo si calcoli dal suo conto in banca, dai premi che ha vinto, dalle occasioni di esercitare il potere sugli altri. Tu come tutti.
«E a chi, allora? A chi hai chiesto dei soldi, mentre io mi facevo regalare mezzo chilo di gamberetti da Mimì il marocchino?»
Tom schiumava rabbia, se l’era immaginata diversa quella scena e lo scarto fra l’immaginazione e la realtà gli pareva una delle infinite colpe di Betta. Era colpa sua se non riuscivano a essere felici.
«Li ho chiesti a una banca!», disse e uscì di casa, sbattendo la porta.
Betta fu svelta a riaprirla e gli gridò dietro: «Non fare così! Non me lo merito!»
Tom rimase fermo per qualche secondo, poi riprese a scendere le scale. Betta gli corse dietro, con le pantofole che sbattevano contro i gradini. Era disposta a tutto, pur di non ritrovarsi di nuovo sola in quella casetta odiosa, a rimuginare sulla povertà. «Tom! Fermati o mi ammazzo!».
Una donna anziana si affacciò a una delle finestre del primo piano, con un’espressione divertita. Tom si fermò, tornò fino al portone, davanti al quale Betta tremava di freddo e di rabbia.
«Puoi evitare le scenate per favore?», disse a bassa voce, poi la prese per un braccio e la trascinò fino dentro l’androne. Betta si divincolò, si sedette sul primo gradino, con le ginocchia unite, come una bambina beneducata e scoppiò in lacrime. Tom pensò che stava diventando brutta e appena ebbe formulato quella valutazione spietata, si sentì in colpa. Sedette anche lui sul gradino e le disse con dolcezza:
«Andiamo a piangere a casa, vuoi? Non sta bene piangere per le scale. E poi, eventualmente, si può anche non piangere. Sono tornato a casa per fare festa. In banca mi hanno concesso un piccolo finanziamento per il mio doc».
«Ma siamo in rosso da secoli, ci hanno chiuso il conto, non credo che...»
«Non quella banca lì, un’altra».
«Una banca che non chiede garanzie?»
Tom prese a salire le scale, quando furono tutti e due a casa disse:
«Mentre ero da Esther ho conosciuto una tipa simpatica, che è vicedirettore della filiale romana di una banca tedesca un po’ meno infame delle nostre»
«Un’ amica di tua madre?»
«Sessantatré anni portati benissimo. Le sono piaciuto». (Continua)

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Le nuove povertà/12
di Lidia Ravera