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Le nuove povertà/11

/ 05.10.2020
di Lidia Ravera

Prese la busta guardandosi attorno, come se temesse di essere vista mentre faceva qualcosa di illegale. La palpeggiò vergognosa, cercando di immaginare il contenuto, imponendosi di non sperare che ci fossero altre banconote. Era una speranza volgare, che non poteva permettersi. Piena di rimproveri per sé stessa, uscì e si incamminò verso il bar. Sedette fuori, alzò il viso verso il vento fresco, chiuse gli occhi, e sporse il mento, come aspettando un bacio. Poi aprì la busta: c’era un biglietto da visita. Il nome stampato era Paolo Von Arnim, l’indirizzo era Via Giulia 26, 00186 Roma. Non c’era un indirizzo di posta elettronica, né un sito, né una professione o un titolo. In un margine, scritte a mano, poche parole: «Caso mai volesse scrivermi una lettera severa, abito a questo indirizzo». Si sentì smascherata. Provò il registro dell’irritazione: brutto vecchio ficcanaso che ne sai di quello che voglio fare io? Si alzò dal tavolino del bar, abbandonando il biglietto da visita sul piattino , fra le briciole del cornetto al miele, per dimostrare a sé stessa che era davvero arrabbiata con il suo benefattore.

Naturalmente stava mentendo a sé stessa, il che, come sapeva bene, è assai più rischioso che mentire agli altri. Andò dritta al mercato e comprò proprio dai banchi in cui aveva preso l’abitudine di farsi regalare mazzi di merce sfinita dal sole, alle due di pomeriggio. Fece la spesa alle 10 del mattino, come chi ha i soldi per pagare e fu frizzante e allegra e ricevette i complimenti dei suoi ammiratori con il sorriso distratto delle attrici famose. «Ti hanno presa per un film?», chiese Mimmo, il marocchino del banco del pesce, mentre Betta pagava senza fare un piega tre tranci di spada. « Oh beh, è soltanto una pubblicità», disse, «ma pagano bene». Mimmo le aggiunse mezzo chilo di gamberetti «Questi li offro io per festeggiare».

Le rimase in faccia quel sorriso da beniamina degli dei fino al negozio di alimentari sotto casa. Entrò. C’era il padre, alla cassa, non il figlio che la favoriva sempre. In un altro momento sarebbe uscita precipitosamente in strada per non dover subire i suoi sarcasmi minacciosi, ma in tasca aveva ancora 300 euro, quindi rifilò al vecchio uno sguardo oltraggiato e chiese di pagare il conto, con un tono aggressivo, come se fosse colpa del negozio se aveva accumulato un debito che temeva drammatico.

L’uomo incassò i tre biglietti da cento euro senza dire una parola. Il resto erano 3 euro.
Betta si avvicinò al banco , guardò le pagnotte , arricciò il naso e uscì dicendo: «Ma quando imparate a fare le baguette? Ci vuole una laurea alla Sorbona?»
Aveva voglia di piangere.
Non le restava più niente.

Ed era stata così cretina da dire al pescivendolo che aveva trovato un lavoro. E non era vero. E non sarebbe stato vero mai più. A un tratto questa condizione di essere povera le parve solida e definitiva come una gabbia di ferro. Le sbarre si facevano sempre più strette.

Salì in casa. Aveva ancora tre ore di tempo per piangere, poi sarebbe tornata a casa la figlia e con i figli bisogna esibire equilibrio, pace e potere d’acquisto.

Si era mai resa conto, nel corso della sua infanzia, dei problemi economici della sua famiglia? Eppure non erano certo ricchi. Suo padre era un professore di scuola media e sua madre, dopo il promettente esordio come miss Lombardia, si era ritirata in casa, aveva rifiutato di monetizzare la sua bellezza, per non mettersi contro tre uomini verso cui nutriva un sacrosanto rispetto e una ostinata dipendenza: il padre ispettore di polizia, il fratello poliziotto e campione di karate , il fidanzato, professore di matematica. Pensò che era inutile telefonarle.

Che cosa avrebbe potuto dirle? Non ho concluso niente nella vita? Le avrebbe sentito ripetere : torna a Bergamo. Perché Bergamo era «casa» e Roma, per sua madre, era soltanto una serie ininterrotta di terrazze dove sfavillavano quelli che ce l’avevano fatta e un intrico di corridoi dove arrancavano quelli che aspiravano ad essere invitati sulle terrazze.

Certo che le avrebbe dato dei soldi, se glieli avesse chiesti. I suoi piccoli risparmi, frutto di una frugalità nevrotica. Ma poteva chiederglieli? E poi: che cosa avrebbero risolto? Che cosa avevano risolto i 500 euro del signor Von Arnim? Niente, anche se questa sera avrebbe preparato una cena di gala, con il pesce e i funghi.Per lei e per Sara, perché Tom... proprio mentre stava formulando questo pensiero triste, sentì la chiave girare nella toppa.

Tom era lì, si era tagliato i capelli, aveva una giacca nuova e le porgeva un mazzo di rose bianche. (Continua)