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Le nuove povertà /3

/ 23.03.2020
di Lidia Ravera

Il dottor M la fece sedere sul lettino. Le fece piegare la testa in avanti. Le ordinò di chiudersi le narici con la mano. «Epistassi, niente di preoccupante», disse, restando in piedi accanto a lei. Il sangue smise di scivolare fuori dalle delicate narici di Betta. Il fazzoletto era intriso di quel liquido denso ma leggero che non aveva mai osato guardare. Neppure se usciva dal corpo di qualcun altro. «Resti ancora un po’ in questa posizione», disse ancora. Le mise una mano sulla nuca. Betta sentì pesare come una dolcezza straniante il calore del palmo, il leggero pulsare dei polpastrelli a massaggiarle il cuoio capelluto.

«Mi dispiace...», incominciò a dire.«Non parli» la interruppe il dottor M.E siccome Betta taceva, per la prima volta parlò lui.«Lei è molto tesa perchè non è in condizione di saldare il suo debito con me, vorrei assicurarle che non si tratta di un problema. Lo salderà quando sarà in grado di farlo, nel frattempo continueremo a vederci. Non deve lasciarsi condizionare da questa sgradevole contingenza economica. Stiamo facendo dei passi importanti. Non roviniamo tutto per qualche centinaio di euro»«Milleduecentotrenta», disse Betta.

Il dottor M la guardò. Era pallida e aveva le gote rosate. Le labbra semiaperte. Una goccia di sangue rappreso sotto il naso. Gli occhi lucidi. Dal cappotto aperto si intravedevano le lunghe gambe fasciate in un paio di calze spesse e chiare. Non era la prima paziente bella che aveva avuto in cura, ma nessuna gli aveva mai causato quel turbamento. C’era qualcosa di ostinatamente sincero, in lei, che la rendeva forte e vulnerabile nello stesso tempo. La guardò mentre si toglieva il cappotto, lo poggiava con un gesto delicato sul bracciolo della sedia e si stendeva sul divano. Andò a sistemarsi dietro la scrivania come sempre.

Tacquero entrambi per un minuto. Poi Betta disse:«Non si tratta di una sgradevole contingenza economica. Si tratta di una condizione di fallimento esistenziale. Tom è un fallito. E anche io lo sono. Ma io sono una donna. Ho almeno fatto una figlia. Non sono io che devo portare nella caverna gli animali che ho ammazzato nella foresta per nutrire i cuccioli e la femmina gravida. Io sono la femmina gravida. Tocca a lui portare la selvaggina a casa. Ma lui non lo fa. Per un po’ abbiamo campato con le elemosine di sua madre. Ma adesso, il rubinetto si è chiuso. Siamo alla fame, dottore. Io vado a prendere la verdura ai banchi del mercato di Testaccio verso le due, quando stanno chiudendo, c’è un ciccione di Fondi che mi regala mele ammaccate, l’insalata che è rimasta troppo al sole, pomodori molli. E io gli sorrido. L’altro giorno mi ha presentato il suo amico marocchino che ha il banco del pesce. Gli ho sorriso. Ho avuto un chilo di alici e un sacchetto di cozze. Mia figlia, quando le ho mostrato quel bottino senza specificare che l’ho avuto in dono, ha detto: puzzano. Che ne dice dottore? non valgo granché neanche come escort da mercato rionale, vero?»

Betta continuò come un fiume in piena.Voleva dirgli tutto l’indicibile, è per questo che si pagano gli psicanalisti, per poter dire quello che non puoi dire a tuo marito ai tuoi parenti ai tuoi amici e neppure a te stessa, no? Gli disse che sapeva di essere bella e stava incominciando a pensare di mettere all’incasso quella cambiale prima che scadesse. Disse: «È più virile il pescivendolo marocchino, più virile del mio raffinato marito, grande studioso del cinema di Roberto Rossellini».

Alla fine della seduta, realizzò che il dottor M non la congedava. Continuò a parlare, ancora per un certo numero di minuti. Non era mai successo.« Se sapessi dove andare lo lascerei. Lascerei Tommaso Sandrucci, detto Tom. Prima che sia troppo tardi. Prima di diventare vecchia e brutta», disse alla fine. Poi tacque. Restò sdraiata, ansimando leggermente, come se avesse corso. Si sentiva meglio.«Si sente meglio?» Le chiese il dottor M, accompagnandola alla porta. Betta pensò che quell’uomo le leggeva dentro. Ritrovarsi fuori, nella città, dopo la seduta, le procurò un senso di libertà ritrovata. Non era più costretta a fare chiarezza. Poteva guardarsi attorno, distrarsi con il mondo, sprofondare nel disordine delle strade, una solitudine fra le altre.

Come tutte le volte che usciva dallo studio di M, si sentiva addosso una improvvisa capacità di fare attenzione. Guardò i volti dei passanti, quasi tutti immusoniti, neanche infelici, arrabbiati. E improvvisamente il suo personale fallimento esistenziale le parve meno grave. Erano molto pochi quelli che stavano bene. Ed erano i meno sensibili, i più mercantili. Di colpo le parve di far parte di una aristocrazia, quelli che avevano il coraggio di essere infelici invece che arrabbiati. Pensò che aveva voglia di comunicare questo pensiero a Tom.

Immaginò di preparare una minestra e di prendere a credito una bottiglia di vino dal negozio di alimentari dove avevano un conto aperto da due mesi. Prese la bottiglia di vino e aprì la porta gonfia di un confuso desiderio di star bene con Tom. Ma Tom non c’era. Sul piano di lavoro della cucina trovò un biglietto:«Sto via qualche giorno. Farà bene a tutti e due. Sara è da Serena. Dorme lì». (Continua)