Le nuove povertà /28

/ 14.02.2022
di Lidia Ravera

Fanny non rispose subito, Von Arnim rimase ad ascoltare il segnale con calma, era un vezzo consueto quello di farlo aspettare e poi mentirgli: «Che cosa ho fatto di male per meritarmi una telefonata nel cuore della notte? Dormivo come un ghiro imbottito di lexotan». La voce era quella di sempre: piena, femminile, segnata da una leggera raucedine come una antica ringhiera fiorita dalla ruggine. Che non stava dormendo era evidente. Von Arnim si impose un tempo di silenzio, per inquadrare la rivelazione.

«La piccola è qui. Nella tua stanza. Mi è piombata in casa questa sera, vestita con la stessa tutta da ginnastica che indossava quando l’ho incontrata nel primo pomeriggio, senza effetti personali. In fuga da quella lite coniugale che tu avevi previsto e io negato».

La risata di Fanny, lo commosse e lo irritò. Un sentimento che aveva percorso tutti gli anni del loro lungo matrimonio. Quante volte gli aveva risposto ridendo? Rideva senza malignità, in perfetta innocenza, come ride soltanto chi possiede un accesso privilegiato a quella inafferrabile attività che va sotto il nome di divertimento.

Era impossibile non invidiarla.

Ma anche amarla non era semplice. Certe volte, soprattutto quando erano giovani, le sembrava un’aliena. Nessun essere vivente su questo pianeta sapeva rifiutare così naturalmente la dimensione drammatica dell’esistenza. Meno che mai un essere di genere femminile.

«Piantala, disgraziata», disse Von Arnim, sorridendo suo malgrado. «È stato imbarazzante. La piccola ha allineato, davanti a una bottiglia di Baron de Ladoucette, tutti i suoi demoni. E… beh, è stato un po’ terribile».

«Non vedo niente di terribile, a parte la perdita di una bottiglia di sauvignon in purezza, tra l’altro è il mio vitigno preferito».

«Non fare il dandy, sei tu che mi hai messo in questa situazione».

«Solo in duecento cinquanta metriquadri con una giovane donna bellissima disposta, non dico a vendersi, ma certamente a regalarsi… credi che riusciresti a far pena a qualcuno?»

Von Arnim pensò che il sonno stava per travolgerlo a tradimento, sbadigliò nel tentativo di frenare l’effetto della melatonina.

«La smetti di scherzare?», disse, simulando un’esasperazione che in effetti, provava, o credeva di provare. Nel silenzio gli parve di sentire Fanny tirare una lunga boccata dal cigarillo scuro che si ostinava a fumare in sprezzo dei suoi polmoni compromessi da un’intera vita di viziosa.

«La smetto di scherzare», disse Fanny, alla fine di una scarica di colpi di tosse a cui cedeva sempre volentieri, quasi fosse un intermezzo musicale. «Ma che cosa dovrei dirti? Goditela. Oppure accompagnala a casa e levatela dai piedi. Vuoi liberartene o vuoi continuare a giocare? Che cosa vuoi? Devi decidere».

«Vorrei non danneggiarla».