Seduta in un piccolo Starbucks al secondo piano della libreria Orell Fussli nella Füsslistrasse 4 di Zurigo osservo quattro ragazzine adolescenti e mi chiedo cosa ci fanno qui alle 9.30 del mattino, non dovrebbero essere a scuola? Si riconosce subito la leader del gruppo. Spavalda, vestita con una tuta nera, il giacchettino mezzo aperto che le cade dalle spalle, i capelli chiari raccolti in due strette treccine laterali, un paio di occhiali con una montatura dorata. Una piccola rapper. Lei e l’amica a fianco sono le più scatenate. In una mano tengono lo shake con la cannuccia, nell’altra il cellulare sul quale digitano e smanettano frenetiche. A vederle sembrerebbe che il cellulare sia già diventato un prolungamento del corpo. Il modo in cui lo tengono, lo agitano, non lo posano mai. Nel frattempo chiacchierano, sorseggiano e si mostrano i display a vicenda.
Al solo guardarle mi agito anch’io e mi chiedo se Leonard Kleinrock, scienziato e pioniere della Rete, non esageri quando in un’intervista a «Repubblica» dice «i nostri figli sapranno sconfiggere il lato oscuro della Rete» perché prima di arrivare a tanto dovrebbero imparare a farne un utilizzo consapevole e moderato. E non soltanto loro, anche noi adulti. In proposito cade a pennello il saggio Die Kunst des digitalen Lebens (L’arte della vita digitale) che ho scoperto quella stessa mattina pellegrinando tra gli scaffali della libreria, nel quale l’autore Rolf Dobelli propone una dieta mediatica drastica per migliorare la nostra qualità di vita. Sin da giovane Rolf Dobelli è sempre stato un attento e assiduo lettore di giornali e consumatore di notizie. Leggeva regolarmente l’edizione cartacea della «Neue Zürcher Zeitung», del giornale locale «Luzerner Neueste Nachrichten», lo «Spiegel», con l’avvento di internet si è abbonato alle Newsletter e ai RSS-Feed del «New York Times», del «Financial Times» e del «Wall Street Journal». Tenersi costantemente informato gli dava la sensazione di «illuminare il mondo in tutte le sue sfaccettature». Finché un giorno si è reso conto di non poter digerire questo enorme carico informativo e ha deciso di smettere con le news, le informazioni brevi 24 ore su 24 perché nel darti l’illusione di essere informato e di avere sotto controllo ciò che accade in verità ti rubano tempo e attenzione.
Significa che il sistema con il quale per anni hanno funzionato moltissimi siti di news e di testate secondo cui i lettori hanno bisogno di essere aggiornati costantemente è nocivo per la nostra salute. «Negli ultimi 20 anni con l’affermarsi di internet e degli smartphone la ricerca delle news si è trasformata in una pericolosa dipendenza. Le news sono per lo spirito ciò che lo zucchero è per il nostro corpo». Cosa fare allora? Se volete sapere cosa accade nel mondo leggete «The world this Week» dell’«Economist», dice Dobelli. Leggete i giornali e i libri che non temono di confrontarsi con la complessità del mondo e hanno le risorse per farlo e cita «The New Yorker» e la «MIT Technology Review»; date un’opportunità alle testate native digitali come «Die Republik» e «De Correspondent» e al long-form journalism. Selezionate con attenzione le firme giornalistiche che volete seguire. Distinguete quali sono i media di qualità. Scegliete un giornalismo che contestualizza e spiega i fatti. E poi nell’ottica di un’economia del tempo e della qualità suggerisce i News Lunch che potrebbero organizzare i ristoranti o le aziende mediatiche. Si condivide il pranzo con un collega scegliendo un tema di discussione relativo ad un articolo uscito sul giornale quel giorno. Ognuno ha quindici minuti per esporre il suo punto di vista e poi ci si confronta.
Personalmente non amo le diete drastiche e dunque non condivido il Dobelli pensiero ma riconosco un fondo di verità importante. La rincorsa alle news e agli ultimi aggiornamenti ci è sfuggita di mano. È importante che nella modalità e nei tempi di utilizzo della Rete così come nel consumo e nella produzione di notizie troviamo una misura sostenibile.