Uno dei paradossali e meno riconosciuti effetti del processo di globalizzazione è l’emergere di nicchie locali che potremmo definire «extraterritoriali» nei confronti del locale rispetto all’incessante processo di connessione fra realtà tanto extra-culturali quanto extra-territoriali indotto dalla globalizzazione stessa. Ambiti di vita, forme di occupazione del territorio, economie specializzate che per secoli hanno vissuto in contatto e a ridosso delle controparti trainanti della città fornendo cibo, materiali di ogni sorta e servizi si trovano quasi all’improvviso al di fuori degli schermi radar della cosiddetta «civilizzazione».
Ci troviamo così, dietro l’angolo di casa, in presenza di una sorta di «buchi neri» in buona misura alieni al modo di vita dominante, Lebenswelten – «mondi della vita», come direbbe il grande Max Weber, «altri» rispetto al modello dominante. Avulse, non omologate e recidive, si formano forme inedite di vita associata, crescono nuove tribù frutto di un processo di ri-primitivizzazione che, per l’Altropologia, potete immaginarvi, è come andare a nozze. O così rimuginava il Vostro, tutti i suoi cento e passa chili precariamente appollaiati a prua di un barchino di quattro-cinque metri, versione moderna di quei natanti portatili che nelle lagune del Veneto chiamano «saltafossi». Costruita in una sottile vetroresina, la tinozza galleggiante procedeva a fatica sospinta da un motore fuoribordo asmatico che teneva calandra e motore solidali per via di un elastico frusto al punto di rottura.
Al timone uno degli ultimi vallanti, come li chiamano da quelle parti. Originario della punta estrema del Delta del Po, là dove il mare e la terra si confondono e le nebbie si tagliano col coltello, D. è arrivato nella Valle della Baiona, sul retro degli impianti petrolchimici del Porto di Ravenna dopo aver fatto di tutto e – dicono ma forse non è vero – dopo averne fatte di tutte. Pescatore per tradizione di famiglia, poi calafato in un cantiere nautico, marinaio motorista (dicono si rifiutasse di uscire dalla sala motori con la nave in navigazione perché aveva paura del mare), oggi sbarca – è proprio il caso di dire – un magro mensile fra nasse e trappole per seppie e anguille arrotondate con qualche cassa di acquadelle (in italiano «latterini») che porta a vendere all’asta del mercato di Goro: «Sempre ultimo perché ne ho poco io di pesce – e allora mi tocca di accontentarmi del prezzo più basso che mi offrono». Così vanno le maree, da queste parti.
Era il Giorno dei Morti. Un freddo che l’umidità ti spalmava dentro, laggiù in fondo che non sapevi neanche dove. La tinozza procedeva alla cieca – o così sembrava, in una nebbia che sembrava di andare a sbatterci: «Ma come fai a sapere dove stiamo andando!?». Dalla nebbia, dalla parte del motore asmatico: «È facile! Basta seguire l’acqua!». Poi, d’improvviso, appena un palmo sulla destra il palo di sostegno di un capanno da pesca, quelli che sembrano immensi granchi con la rete da pesca – «il padellone» – sospesa sul canale: «Scansati che ti rompi la testa e non saresti il primo!».
I capanni da pesca delle Valli sono capolavori di architettura spontanea: spesso abusivi, sono costruiti rigorosamente con materiali di recupero – lamiere, tubi, bulloni, tavoli, sedie… tutto ma proprio tutto deve essere «di recupero». Ovvero: di provenienza non-commerciale. Cioè – mi spiegava D. – se proprio vogliamo… materiale «trovato»… insomma ci siamo capiti. «Qui non c’è niente che sia nuovo – mi spiegava D. – è tutto di seconda mano, e che non sia poi rubato, perché fra motori, reti, generatori e tutte le altre trappole non c’è niente che stia insieme… insoma, xe tuto marso, no?» – «è tutto marcio», concludeva in quel suo dialetto del Delta che fa inorridire i venexiani. «Perché là dentro nelle Valli», mi spiegava un ufficiale della Capitaneria di Porto, «là dentro è un mondo a sé».
Vige un codice non scritto che pone rimedio ai furti di pesce dalle trappole, agli incendi dei capanni da pesca, agli affondamenti delle barche, alla pesca di frodo nelle concessioni altrui e ai tagli di gomma delle automobili con… l’esatto inverso reciproco. «Un ciclo continuo che continua e continuerà per sempre: noi là dentro non ci andiamo. Facciano loro». È un mondo rigorosamente maschile: «Una donna seria sta alla larga dalle Valli», come maschile è il mondo di inviti e feste che animano i capanni soprattutto d’estate, quando il profumo delle grigliate di pesce riempie l’aria fra le grida sguaiate dei crucai e delle magoghe – i gabbiani eternamente affamati. Gli abitanti delle terre «normali» chiamano i vallanti di Comacchio «Comanci» – «perché sono più selvatici dei Comanches del Far West».
Arrivati sul luogo di pesca andavamo a ispezionare le trappole delle anguille – i cosiddetti «lavorieri», macchine mortali antiche come l’umanità, capolavori d’inganno e di scaltrezza nati direttamente dalla fame. E dalla nebbia che pian piano si dissolveva nella polvere dorata di un sole gelato emergeva lentamente la mole degli impianti petroliferi del porto. Sagome lontane, aliene e indifferenti: un altro mondo, un mondo Altro.