Primi anni 50: se dal taschino della giacca di un mio compagno di viaggio spuntava un regolo calcolatore non c’erano dubbi, si trattava di un ingegnere. Il suo messaggio era chiaro: sono un uomo dei numeri, non della fantasia. Scomparso il regolo, è rimasta l’autorevolezza della figura ma, grazie all’attività pionieristica del professor Vittorio Marchis, ai numeri si è aggiunta la fantasia perché «al vero ricercatore bisogna insegnare a varcare i confini, incoraggiarlo a dare sfogo al pensiero laterale». Il suo corso al Politecnico di Torino sul tema «Epistemologia della macchina» ha generato una prima antologia di «scritti meta-scientifici» dal titolo Incontri con la macchina, edito da Mimesis.
Sono in tutto 33, 11 scritti in inglese e altrettanti quelli firmati da una donna, «frutto di una scommessa proposta a un gruppo di giovani ricercatori che hanno avuto il coraggio di entrare in territori a loro ancora ignoti». Sono sviluppati su svariati modelli: racconto, verbale d’inchiesta, intervista, testo teatrale, udienza di processo, operetta morale, poemetto in versi, decreto di legge, foglietto illustrativo, saggio filosofico, referto medico. Nell’antologia si trova anche una ricetta, quella per fabbricare una «Candy Rocket», una caramella a razzo, a base di nitrato di potassio. Si raccomanda di farlo triturare dal meno esperto della squadra e dunque dal meno indispensabile «in modo da ridurre al minimo i danni collaterali nell’eventualità di una detonazione spontanea». È spassoso il foglietto illustrativo del telefono cellulare, con l’avvertenza: «Siccome questo foglietto non verrà letto interamente da persona alcuna, la ditta si riserva di scrivere dati fasulli o non completamente corretti». È vero, alzi la mano chi di voi ha letto tutto il libretto di istruzioni di un cellulare. Ecco come si cautelano i fabbricanti: «Effetti collaterali: il cellulare può creare psicosi, allucinazioni, può esplodere, può prendere fuoco, può creare tendiniti o flogosi dei tegumenti della mano, sindromi da dipendenza, sonnolenza, cecità, carenza di ferro, demenza senile».
Sempre, al centro di tutte queste variazioni, c’è la macchina, nel suo concetto più ampio, dove anche un sentiero sopra un lago ghiacciato che accorcia le distanze è a suo modo una macchina. Vi si trovano progetti di macchine a un passo da essere realizzate che mettono brividi di spavento. Pensate: un dispositivo sceglie per noi le parole adatte alle aspettative dell’interlocutore: con gli algoritmi che ci inviano i messaggi in sintonia con il nostro profilo di utenti siamo già dentro questo futuro. Un’altra macchina, sulla base di un motivo musicale che le viene proposto, genera improvvisazioni sempre più complesse e, siccome è in grado di imparare, in breve vince la competizione con l’uomo, come succede già con gli scacchi. Il resoconto di un processo vede sul banco degli imputati «la macchina filtra pensieri», in grado di separare le idee buone da quelle cattive. Già, ma chi decide quali sono le idee buone e quelle cattive? Fra le tante macchine non poteva mancare quella in grado di registrare i sogni, di riprodurli, di modificarli e soprattutto di generarli a comando. Stefano Palumbo progetta «The Pi machine», una macchina in pietra simile esternamente all’antica Pizia, che produce oracoli, dando un futuro certo per ogni individuo, così l’intera società diventa un’enorme macchina. Daniele Porcu ha scritto un poemetto in quartine, intitolato Quanto conta?. Una strofa: «Le macchine ormai sanno ascoltare, / sembran perfin capaci di capire, / potranno, con gli schemi, interpretare / quel che pensiamo e non osiamo dire?». La bicicletta ha stimolato due autori, uno dei quali progetta «la bici quantica», basata sul principio di indeterminazione.
Il tema della memoria è al centro di due racconti ed entrambi progettano macchine che, con modalità diverse, non solo riproducono ma generano la storia, secondo un concetto diverso dall’attuale, inglobando tutta una congerie di fattori che gli storici in carne e ossa non possono utilizzare. Questi talentuosi ricercatori non saranno per caso degli «apprendisti stregoni»? No, sono tutti bravi ragazzi. Vero, professor Marchis? Fra loro c’è chi si pone domande fondamentali e non a caso è una donna, Marta Canta, nel saggio Macchinamorfismo. Come sarà il futuro?. Si chiede Marta: l’uomo e la macchina sono due entità separate o sono due forme della stessa sostanza? Se è valida la seconda ipotesi ne consegue che rispetto all’evoluzione degli animali, uomo compreso, quella delle macchine è stata straordinariamente veloce. Quale sarà l’ultimo anello della linea evolutiva della macchina? Qualcuno è in grado di rispondere, magari mentre sta provando l’ebbrezza di viaggiare su un’auto senza pilota?