Le ipocrisie salutiste

/ 15.11.2021
di Aldo Grasso

È ipotizzabile un mondo senza Internet? «Nessuno aveva Internet, da nessuna parte. E non sapevamo perché. Quella sera andammo a dormire senza ricevere e-mail, senza che gli status fossero aggiornati. E milioni di uomini in tutto il mondo controllarono quello scompartimento segreto nella parete per vedere se i loro vecchi dvd di Jenna Jameson fossero ancora lì per la buonanotte».

Il romanzo Internet apocalypse di Wayne Gladstone ci regala uno scenario inedito: il World Wide Web è scomparso. Nessuno, nemmeno il Presidente degli Stati Uniti, è in grado di trovare un segnale Wi-Fi e accedere alla Rete. La gente va nel panico, l’economia si paralizza e il mondo scivola lentamente nel caos. L’apocalisse di Internet ha avuto inizio. Ma la vita va avanti, e i cittadini di New York trovano presto nuovi, bizzarri metodi per passare il tempo offline e senza social network. Girano comunque voci che, da qualche parte, tra i grattacieli della Grande Mela, si nasconda Internet…

Uno dei più grandi timori del nostro millennio è l’assenza di una connessione Internet. Ogni locale o luogo pubblico possiede una propria rete wifi e i ripetitori di segnale stanno raggiungendo i posti più impensabili pur di servire chiunque. C’è sempre l’urgenza di consultare la propria casella e-mail, di navigare sui social, di condividere cosa stiamo facendo. Senza Internet, infatti, non ci sarebbero più i social, niente più foto su Instagram, niente messaggi su Twitter. Per spedire una lettera occorrerebbe tornare a fare la fila all’ufficio postale. E per un bonifico bisognerebbe recarsi necessariamente in banca. Nessun acquisto online: né su Amazon né su altri siti, perché i siti non esisterebbero più.

Secondo Nekeshia Hammond, psicologa, presidente della Florida Psychological Association, Internet comporta non pochi impatti negativi. Lo si potrebbe paragonare a una specie di «nicotina digitale» o di «caffeina 2.0». Qualunque sia il motivo dell’utilizzo, con il passare del tempo il cervello inizia a bramare una dilagante e snaturata curiosità per ciò che accade sulle piattaforme digitali. Hammond sostiene che i livelli di dopamina aumentano la smania di «soddisfazione mentale». Una volta che abbiamo il naso incollato allo schermo dello smartphone, entra in atto una sorta di comportamento inconscio che ci astrae dalla realtà. Sprechiamo troppo tempo per rimanere aggiornati sulle ultime informazioni che riguardano la rete dei nostri contatti. Spendere troppo tempo online senza rendersene conto, a guardare tutte quelle cose apparentemente meravigliose che tutti gli altri postano, può avere un impatto profondo sul nostro livello di soddisfazione personale, sulla percezione della realtà.

Senza contare tutte le sciocchezze che veicolano i social e che noi prendiamo come notizie vere (tutte le fake apparse sul Covid dovrebbero essere d’insegnamento). Fatta la tara dei pericoli che Internet comporta, è ipotizzabile un mondo senza Internet? La comunicazione non ha più vincoli dato che tutto il mondo è connesso in una rete unica; tutte le barriere una volta esistenti sulle telecomunicazioni sono state abbattute; la comunicazione internazionale è diventata praticamente gratuita. Questa rivoluzione è avvenuta in pochi decenni e ha stravolto l'intero modo di vivere delle persone di tutto il mondo. Ormai è impossibile rinunciare a Internet, ciò che si perde è di gran lunga superiore a ciò che si guadagna.

Come scrive Francesco Costa sul «Post», immaginare il nostro futuro senza il Web è un esercizio ludico: «Ho pensato che i corrucciati esercizi intellettuali sulla vita senza Internet, i bar che credendo di fare una cosa molto furba e colta si vantano di non offrire il wifi, gli articoloni sul fatto che Google ci renda stupidi, assomigliano all’elogio del mangiare poco fatto da chi è abituato a mangiare molto, che una volta trovai descritto così in un bel libro».

E conclude citando un passo di La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa di Massimo Montanari: «Solo la fantasia, o l’interesse, dei pochi privilegiati ha potuto partorire immagini di povertà felice, di una frugalità (quella dei più) lietamente contenta di sé. E sarà anche vero che mangiar poco fa bene; ma solo a chi mangia molto (o almeno, può mangiare molto) è consentito pensarlo. Solo una lunga esperienza di pancia piena può giustificare il brivido di un appetito tenuto a freno. Gli affamati, quelli veri, hanno sempre desiderato riempirsi a crepapelle».