Più vantaggi o più minacce? Quale prezzo ci sta facendo pagare la tecnologia che, comunque, avanza, cambia le nostre abitudini di vita e delinea prospettive irreversibili. Sulla scorta delle notizie, trasmesse dai media, si giustifica, a prima vista, quel clima di timori popolari, confermati, quasi ogni sera, proprio dalle cronache televisive del «Quotidiano», improntate certo a un pessimismo, prettamente ticinese, non però campato in aria. Si allunga, infatti, l’elenco delle aziende e dei servizi, costretti a licenziare, a riconvertirsi, a chiudere, perché incapaci di reggere all’urto di questo progresso a due facce.
Fra le prossime vittime figurano, e non sorprende, le agenzie di viaggio, che risentono delle prenotazioni on-line, il noleggio d’auto e i taxi, insidiati dalla concorrenza Uber, mentre, imprevedibilmente, le officine meccaniche destinate a riparazioni d’auto, perdono clienti (ma quanti sono?) che hanno optato per i veicoli elettrici. E, a quanto pare, persino le agenzie di consulenza finanziaria subiscono la cosiddetta sfida degli algoritmi, che l’informatica ha reso accessibili a un pubblico allargato. Insomma, il fai da te, sintomo dell’era individualistica, continua a conquistare terreno, sottraendolo alle precedenti categorie professionali e sostituendo persone con tastiere, pulsanti e tesserini, a ritmi sempre più accelerati. Così, dopo i lattai, le sartine a ore, i ciabattini, per non parlare degli arrotini, delle centraliniste ai telefoni, sono scomparsi i benzinai, e si sono rarefatti i contatti con impiegati di banca e degli uffici postali, bigliettai, fattorini, capitreno. Nella società odierna dell’usa e getta, sono scomparse in generale tutte le attività destinate alle riparazioni. Prossimamente, sarà la volta dei venditori e delle cassiere in negozi e supermercati, dotati di impianti per il pagamento elettronico.
Ora, se il passaggio ha messo in difficoltà gli utenti anziani, dalla manualità anchilosata, doveva avere conseguenze ben più pesanti per gli addetti ai lavori, dove una funzione specifica e un ruolo sociale sono stati spazzati via: quel tipo di lavoro non esiste più. Si tratta di una trasformazione, di cui, per motivi familiari, prima, e professionali, poi, sono stata una testimone direttamente coinvolta. Quell’odore della stampa a piombo, quel frastuono di linotypes, quelle discussioni fra redattori e compositori, li ho vissuti, in continuazione, sull’arco dei decenni, da bambina, accompagnando mio padre nella tipografia del «Corriere del Ticino», in viale Pasquale Lucchini, e poi, da giornalista alle prime armi, in Corso Elvezia, dove, appunto, l’era artigianale doveva subire i contraccolpi della rivoluzione informatica, con effetti persino frustranti sul piano psicologico: la sensazione di essere superati da una macchina.
Tanto da aprire interrogativi sulle ripercussioni provocate dall’avvento del computer, nuovo padre padrone che rischia di compromettere i rapporti umani, anche nell’ambito medico, dove, appunto, il perfezionismo tecnologico può essere percepito come «una minaccia»: questo, il tema, attualissimo, proposto al recente seminario della Fondazione psicooncologica e dall’Associazione Triangolo, proprio attraverso visioni anche contrastanti. Niente fanfare, per esaltare i progressi diagnostici e terapeutici, dovuti a impianti efficienti, ma piuttosto la consapevolezza che, dietro ai macchinari, dev’esserci una persona, capace di controllarli.
Senza dubbio è cresciuta, negli ultimi decenni, una nuova generazione di medici, infermieri, collaboratori sociali, in grado di gestire il dominio tecnologico che, però, non è l’unico ostacolo. Ho avuto modo, in queste settimane, di registrarne un altro, ben più fastidioso. Ed è il fardello, ingombrante e costoso, di una burocrazia assurda, complicata, noiosa. Meglio, allora, la tecnologia che crea i droni che fanno la spola, in pochi secondi, fra l’Ospedale civico e l’Italiano.