Quindi ci siamo. Il Regno Unito è fuori dall’Europa, e da fine anno lo sarà a tutti gli effetti. Boris Johnson ha fatto conoscere il suo piano per regolare l’immigrazione. Gli europei, fino a oggi liberi di circolare, saranno trattati come i sudditi del Commonwealth e qualsiasi altro straniero. Niente visto per chi non sa parlare inglese e non è sufficientemente qualificato. Corsia preferenziale per scienziati, ingegneri e accademici. Un sistema a punti che valuterà le competenze e darà la precedenza a chi arrivi con un’offerta di lavoro o accademica. Il modello è quello australiano. Ed è un modello severo. I punti saranno attribuiti (10 o 20 per voce) soltanto a chi avrà già in mano offerte di lavoro da 25 mila sterline l’anno in su, titoli di studio specifici (come Phd), qualificazione per settori con carenza occupazionale nel Regno Unito e conoscenza dell’inglese. E chi va a Londra proprio per impararlo? Non potrà più arrivare. Non capisco sinceramente come qualche italiano con un minimo di amor patrio possa esserne entusiasta, considerando le centinaia di migliaia di connazionali che lavorano oltre Manica.
In ogni caso, il Regno Unito cammina adesso in una terra sconosciuta. Finora è stato nell’Unione europea tenendo un piede fuori, senza aderire né alla moneta unica né a Schengen, usufruendo dei vantaggi ed evitando qualche svantaggio. Il futuro è una grande incognita. Emmanuel Macron aveva previsto che alla fine Londra sarebbe rimasta nell’Ue; ma il mandato che la maggioranza relativa degli elettori ha assegnato a Johnson con le elezioni del 12 dicembre scorso è chiaro. Molto dipenderà da quale accordo il premier negozierà con Bruxelles (e con Berlino), sempre che riesca a farlo. Londra diventerà un grande paradiso fiscale? O rimarrà in qualche modo agganciata all’area di libero scambio e di regole comuni – per quanto insufficienti – definita dall’egemonia tedesca? Johnson riuscirà a tenere unito il proprio Paese? O vedremo la riunificazione dell’Irlanda e la secessione della Scozia?
Forse, più che chiederci cosa accadrà ai britannici, dovremmo chiederci cosa attende coloro che restano. L’asse centrista che governa Germania e Francia, e quindi l’Unione, ha energia per costruire gli Stati Uniti d’Europa, con un presidente eletto dal popolo? O si continuerà a vivacchiare con una burocrazia sempre più invisa agli elettori? Questa è la vera grande domanda. Per avere una risposta dovremo attendere di capire quale sarà la successione ad Angela Merkel. La Cancelliera non se la passa bene, la sua erede designata Annegret Kramp-Karrenbauer si è dimessa, la sua diga contro l’estrema destra vacilla. Eppure dietro la scelta della Brexit c’è proprio l’insofferenza dell’inglese medio verso la Germania, percepita come la padrona d’Europa. Perché, si chiede l’elettore di Johnson, obbedire a un Paese sconfitto per due volte in due sanguinose guerre mondiali? Anche da questa domanda nasce la secessione dall’Europa. Senza nasconderci che il problema dell’immigrazione è molto sentito. È vero che nel Regno Unito la disoccupazione è molto bassa, attorno al 4 per cento di coloro che cercano lavoro. Ma tanti giovani il lavoro non lo cercano neppure. Gli imprenditori preferiscono assumere stranieri disposti a lavorare di più per meno salario. E infatti gli imprenditori non sono affatto entusiasti delle proposte di Johnson. Che non dispiacciono agli inglesi poveri del Nord del Paese e dei suburbi di Londra, percepita come una città sempre meno britannica e sempre più (troppo per qualcuno) multiculturale. La vera capitale del mondo globale. Ma per quanto tempo ancora?