Il battello si stacca lentamente dalla banchina di Lugano Giardino. Trotterella verso Paradiso scivolando lungo la riva, poi punta deciso verso il centro del lago. A bordo si parla tedesco e un poco di francese. Ogni passeggero, anche chi va per gli affari suoi, diventa turista. C’è il piacere infantile della navigazione e un punto di vista insolito sulla città, in dissolvenza dietro di noi. A Lugano si è molto demolito e altrettanto costruito, anzi le gru sono ancora all’opera, ben visibili. Gli edifici storici sono una rarità e molto del poco che è rimasto rimanda alla nascita del turismo, tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, a cominciare dalla cortina scenografica dei grandi alberghi.
Mentre mi immergo in queste riflessioni, puntiamo decisi verso Porlezza, infilandoci nella strettoia tra le montagne. Poco oltre Gandria la linea del confine tra Svizzera e Italia corre invisibile sul filo dell’acqua. Non è una rarità: il trenta per cento delle frontiere mondiali sono acquatiche. A volte sono piacevolmente indefinite: per esempio l’assenza di una frontiera riconosciuta tra Germania, Austria e Svizzera sul lago di Costanza non sembra preoccupare nessuno dei Paesi coinvolti.
Ci sono frontiere diverse. Quella di Gandria per esempio è una frontiera politica, certo, ma non linguistica né culturale né religiosa. Ogni frontiera tra Stati crea un’economia, perché le differenze di prezzi sui due lati del confine offrono opportunità di guadagno, sia pure illegali, come ricorda il piccolo Museo doganale alle Cantine di Gandria, meglio conosciuto come il Museo dei contrabbandieri (ne ha parlato Barbara Manzoni sul numero 29 di «Azione» del 19 luglio 2021). Da qualche tempo l’Amministrazione Federale delle Dogane è tornata a gestirlo direttamente con personale proprio. Il nuovo allestimento è diretto ed efficace. Sonja, elegante nella sua divisa nera e blu, ha passato vent’anni a scovare merci nascoste nei camion in transito, ma adesso se la cava altrettanto bene coi visitatori. Racconta la storia del posto di confine e intanto parla anche del suo mestiere, dei cambiamenti in corso e delle prospettive future. «Le frontiere sono la mia prigione» cantava Leonard Cohen; «Chi se ne importa delle frontiere!» era uno slogan del maggio francese, nel 1968. Niente di nuovo, artisti e intellettuali non hanno mai amato le frontiere, ma Sonja ha un’opinione diversa: parla di sicurezza, protezione, cura amorevole dell’isola che siamo, al centro dell’Europa.
Mentre una parte dei Paesi dell’est vuole erigere muri, questo piccolo avamposto affacciato sul lago ci ricorda che le frontiere sono fatte per essere attraversate, sia pure in modo appropriato e rispettando la legge. E tuttavia legalità non è sempre sinonimo di giustizia, come mostra bene Henley Passport Index. L’idea è semplice ma efficace: creare una classifica dei passaporti sulla base del loro potere. Scopriamo così che i «migliori» sono quelli del Giappone e di Singapore. Permettono di entrare in 192 Stati (praticamente tutti) senza visto o con un visto all’ingresso ridotto a una pura formalità. Al secondo posto troviamo Germania e Corea del Sud (190), poi Finlandia, Italia, Lussemburgo, Spagna (tutti a 189), Austria e Danimarca (188), Francia, Irlanda, Olanda, Portogallo, Svezia (187). La Svizzera occupa un confortevole sesto posto (186), insieme a Belgio e Nuova Zelanda.
Insomma le porte del mondo sono spalancate davanti agli abitanti dei Paesi più ricchi, sia che vogliano muoversi per lavoro o per turismo; e i capitali neanche si accorgono delle frontiere. Ma tutto cambia quando consideriamo i Paesi meno sviluppati. Non mi sorprende, viste le recenti vicende, che gli afgani siano benvenuti solo in 26 Paesi. Ma è già meno evidente perché gli iraniani siano accolti senza visto solo in 41. Se la cavano appena un poco meglio Marocco (63) e Tunisia (71), ovvero alcune delle mete favorite delle nostre vacanze. Come dire che il viaggiatore agiato è considerato a priori un turista, senza bisogno di prove, mentre chi viene dai paesi meno fortunati è subito sospettato di essere un migrante alla ricerca di un viaggio di sola andata.
Com’era prevedibile il Covid ha rafforzato queste disuguaglianze, questo Global mobility divide, perché spesso i Paesi già in difficoltà non hanno neppure il vaccino «giusto», ovvero AstraZeneca (valido in oltre 120 Paesi) o Pfizer (98) rispetto a Sputnik (71) e Moderna (69). Per questa ragione i primi della classe, i giapponesi, tengono fuori dalla porta di casa un centinaio di Paesi. Gli egiziani accettano tutti, ma sono accettati solo in 51 destinazioni.
La sera scende presto sul Museo delle Cantine di Gandria, sovrastato dalla montagna. Ma ripartendo penso che c’è già un ottimo tema per il programma del prossimo anno.