Le fonti di Crodo

/ 24.07.2017
di Oliver Scharpf

«Ciospis!» mi fa una barista di Viganello quando le dico da dove deriva il nome Crodino. Mai visto, tra l’altro, in nessun bar del Ticino, stappare un Crodino. Credo che i crodini si scolino a casa, di nascosto. Ad ogni modo il Crodino contiene in sé, attraverso il diminutivo, un toponimo. È a Crodo infatti che nasce nel 1964 «l’analcolico biondo che fa impazzire il mondo». Intruglio inutile pieno di coloranti per molti, non tutti sanno che invece l’acqua alla base del Crodino è curativa, scoperta al tempo delle crociate. Si racconta che dopo qualche sorso d’acqua sgorgata dalla viva roccia, un cavaliere di ritorno malconcio da Gerusalemme, assieme al suo cavallo moribondo, rinasce a nuova vita e riprende il viaggio. E allora via, verso Crodo.

Centovallina fino a Domodossola, poi bus. Ce n’è uno ogni morte di papa, perciò casomai fate un salto a bere un caffè in piazza del Mercato: posto abbastanza unico con portici rinascimentali e tetti in pioda. E una fornita libreria dove trovo un libro sulle acque minerali di Crodo a cura di Angelo Del Boca, intitolato L’oro della valle Antigorio (1993). L’inusuale bellezza, appena fuori Domodossola, è spazzata via dall’orrore seriale delle case «geometrili» come le aveva definite, altrove, Gianni Celati. Salendo in Val Antigorio, una delle sette diramazioni dell’Ossola, si riconquista – come stamattina nelle Centovalli e in Val Vigezzo – una gradevole selvaticità. Dopo il paesino di Oria ci si infila nella stretta di Pontemaglio e appena fuori dalla galleria, un vertiginoso ponte antico supera il Toce. Qualche chilometro ed ecco lo stabilimento del Crodino, oggi della Campari.

Scendo così un primo pomeriggio di fine luglio alla fermata Bagni di Crodo. Le foglie dei platani ondeggiano al venticello ossolano, un colonnato di marmo rosa introduce al Parco delle Terme di Crodo. Qui, per tutta l’estate, in un’atmosfera di dignitosa decadenza, si possono sorseggiare le benefiche acque sorgive. Tre le fonti di Crodo (425 m): Cistella, Valle d’Oro, e Lisiel, scoperta solo nel 1956. Vecchie conifere, panchine di legno ondivaghe, e là una balaustra in pietra percorre il perimetro del parco verso il fiume. Il primo abbozzo del parco risale al 1880, opera di Bernardo Del Boca, nonno del curatore del libro sulle acque dove si scopre che è sempre lui a ribattezzare le due fonti storiche. La Fonte Rossa diventa così Cistella e Valle d’Oro soppianta la Fonte Casa del Bianco, per «ancorarne i nomi alla geografia dei luoghi». Cistella si riferisce al Monte Cistella e l’oro della valle all’ex miniera non lontana. L’acqua zampilla da due fontanelle ai lati di un bel bancone di zinco stile bar anni cinquanta. La zigrinatura verticale si accorda con le linee parallele dei tratti di legno alle pareti, in concomitanza con le finestre.

Appoggio cinquanta centesimi di cauzione e parto con un bicchiere di Valle d’Oro in mano. Fuori, al primo sorso, avvisto un angolo sopravvissuto all’alluvione dell’agosto 1987. Un leone in pietra dorme, due sedie scompa-ginate della stessa pietra illudono giocosamente di essere legno. Due massi erratici, a differenza del grande albergo dei Bagni distrutto e del termalismo scomparso, sono sempre lì. Vicino scovo il microcosmo teatrale messo in scena per la valligiana fonte aurifera. La magistrale ombra è quella inimita-bile dei castagni secolari. Sul frontone di un tempietto, attorniato da due putti su colonne con mascheroni, si legge a semicerchio, in un bel rosso sinopia slavato come su certi vecchi grotti ticinesi, la scritta Thermae Crodenses. Tra le due parole, una stellina giallo senape stinta dove c’è su l’anno 1685 e sotto, quasi cancellato, si legge Sorgente Valle d’Oro. Un cancello chiuso in legno segue l’arco a tutto sesto. Peccato non si possa più abbeverarsi direttamente da qui. Quest’acqua solfato-calcica, secondo gli ultimi studi del dottor Nello Montanari della Sapienza di Roma, è utile contro le gastriti croniche, enterocoliti acute, calcolosi urica, stati carenziali di calcio.

A malincuore lascio la centenaria ombra castanile per tornare al bancone a provare la Cistella. L’addetta alla mescita però mi dice che non c’è più: «si è imbastardita». Tra la Lisiel e ancora un bicchiere di Valle d’Oro, scelgo il bis. Una radiolina trasmette canzonette, la sala è popolata da quattro tavolini bianchi da giardino con le loro sediole. Otto sono le colonne di marmo della zona. Accantonando gli eccessi rinuncio a un terzo bicchiere e parto a piedi su verso il paese di Crodo, a caccia della prima centrale idroelettrica disegnata dal grande Piero Portaluppi (1888-1967). Possibile meta, un giorno o l’altro, per un altro pezzo. E poi, in attesa del prossimo bus che parte fra tre ore, ammazzerò il tempo con il famoso analcolico biondo inventato da Piero Ginocchi (1901-1998) che per la réclame ai tempi del Carosello aveva scomodato Brigitte Bardot. Più che per il piacere in sé di un «aperitivo zero impegnativo» solo per il gusto di vedere stappare un Crodino a Crodo.