Le fontane di Judd a Winterthur

/ 16.09.2019
di Oliver Scharpf

La prima cosa da fare, se vi capita di andare a Winterthur, è provare la Giraffentorte. Specialità della pasticceria-confiserie Vollenweider a un paio di minuti appena dalla stazione, dove vado adesso in una piovigginosa giornata di fine estate. Un tortino-giraffa versione monodose, sistemato con cura in una bella scatola nera a pois bianchi sulla quale appoggio sopra un espresso da portare via, m’incammino così equipaggiato nella città vecchia. A zig zag, in sette minuti neanche, sfocio nella Steinberggasse. Strada che dal vero è più che altro una piazza oblunga: qui in mezzo, dall’inizio dell’estate 1997, ci sono le tre fontane ellittiche di Donald Judd (1928-1994). Artista morto a Manhattan e nato in Missouri, molto noto per le decine di scatole rettangolari in acciaio e plexiglas appese equidistanti, incolonnate, al muro.

Un morso, sulla panchina all’altezza della prima delle fontane di Judd a Winterthur (439 m) che da qui come minimo passa inosservata, rivela perché quel curioso nome da safari. Pezzetti abbondanti di cioccolato nero maculano la pasta soffice del mini-cake glassato, mimando la pelliccia delle giraffe. Di una bontà indicibile risalente al 1943, l’ho scoperta per caso in occasione della mia prima visita fallimentare alle fontane di Judd l’agosto di tre anni fa. Per via dei preparativi per una quarantennale festa della musica di una settimana, due delle fontane, funeree senza acqua, erano tristemente utilizzate come palco e bar-buvette. Poi ha incominciato a piovere a dirotto e tra teloni e assi da cantiere, in quel clima ripugnante da pre-sagra, impossibile una perlustrazione per un reportage serio.

Oggi ci sono solo un’ape che vende tapioca e una bancarella dei soliti prodotti italiani con giovane venditore-macchietta che offre invano un assaggio a tutti i passanti. Molte biciclette – segno un po’ distintivo di Winti come è chiamata amichevolmente dai suoi abitanti questa piccola città dal glorioso passato industriale tipo fonderia Sulzer – passano di qui. Mi avvicino all’ellissi di beton bocciardato: la superficie d’acqua ricolma fino all’orlo che si muove lenta verso un centro circolare cavo, mi riempie insperatamente di pace. Le facciate colorate delle antiche case e il cielo nuvoloso si riflettono sul pelo dell’acqua, ancorando così quest’opera di Judd – «senza dubbio la sua più importante per uno spazio pubblico» secondo la Landschaftarchitekturführer Schweiz (2002) di Udo Weilacher e Peter Wullschleger – alla città. Città che all’epoca, per via dei costi elevati, rifiuta di finanziare il progetto Judd. Andato in porto il quattordici giugno 1997 senza essere mai stato visto da Judd – autore tra l’altro di un testo-chiave, Specific objects (1964), per capire la minimal art – grazie ai fondi racimolati dall’associazione locale Judd Project e la Judd Foundation di Marfa, in Texas.

Parto per la fontana centrale. «La medesima distanza fra i quattro corpi ellittici sottolinea lo spazio della strada» scrive Felix Wettstein in Donald Judd, l’artista e la sua architettura apparso nel 1998 sulla rivista «Archi». Infatti alle mie spalle, laggiù all’altezza della pizzeria Don Camillo, seminascosta da un’altra bancarella un po’ oplàopp di gnocchi notata solo ora, c’è la quarta fontana. La Fischmädchenbrunnen del 1938, preservata da Judd nel suo progetto e dalla quale parte, riprendendo la forma ellittica della vasca in pietra dove su un piedistallo vigila una scultura di Max Reinhold Weber: una ragazza nuda in bronzo con un pesce in mano. Il movimento dell’acqua, scaturisce qui, nella seconda fontana di Judd un primo pomeriggio a metà settembre, da un elemento rialzato circolare al centro, connettendosi così antiteticamente alla prima della sequenza. Lì ricadeva al centro cavo, qui dal centro cavo emerge creando un pozzo traboccante. Il viaggio dell’acqua prosegue scendendo lentissima, senza quasi che ce se ne accorga, in una ulteriore ellisse ritagliata all’interno dove trasborda poi ai lati.

La sequenza si completa con la terza fontana che è un semplice specchio d’acqua, il cui movimento è identico alla seconda ma lascia senza emozioni per la mancanza forse di un vero gioco d’acqua. Comunque raffinata, benché tanti a prima vista potrebbero storcere il naso o liquidare il tutto con un’alzata di spalle e di certo non amata da molti come quella di Tinguely a Basilea, è la relazione tra le tre – come a Piazza Navona – fontane. Diverse sono le tre altezze che mostrano la leggera pendenza della via, dove fino al 1830 scorreva un ruscello cittadino purtroppo interrato per guadagnare strada, però il livello dell’acqua è lo stesso. Un risultato sopraffino che richiama in parte, consapevolmente o meno, quel ruscello perduto. Nelle calde giornate d’estate, non avendo fiumi né laghi come la vicina Zurigo, tutte e tre le fontane di Judd vengono utilizzate allegramente, non solo da bambini e ragazzi, come minimali piscine.

Un pensionato che chiamano Beo viene qui tutte le sere, mettendosi a mollo nella prima, in compagnia di una cassa di birra. Riuscendo poi a imitare quasi tutti i cinguettii degli uccellini esotici nelle voliere del Lindengutpark meglio noto come Vögelipark.