Provo a inserirmi nel rosario rievocativo del 68 che Orazio Martinetti, come si addice agli storici, ha già registrato in questo spazio. Dico provo perché so di non essere abile, e quindi poco abilitato a fare rievocazioni. Quell’anno praticamente io non l’ho vissuto, nel senso che nella mia memoria molto di quanto oggi viene riesumato e riproposto dai media continua a non figurare tra le vicende memorabili. La causa di questo singolare vuoto mentale è molto semplice: dato il matrimonio contratto nel 1967 e la nascita del mio primo figlio un anno dopo, il 68 è coinciso con quel momento della vita che già nell’antica Grecia veniva considerato talmente influente che gli uomini venivano esentati da impegni pubblici, addirittura dal servizio militare. Sono convinto che quella particolare condizione abbia impedito allora e continui a vietarmi oggi di «sentire» e di trovare emblematiche le idee e le spinte rivoluzionarie degli intellettuali parigini o le occupazioni studentesche di casa nostra. Leggendo alcuni degli interventi rievocativi mi ritrovo spesso con questa duplice domanda: come mai i moti studenteschi continuano ad avere tanto fascino e influenza rispetto ad avvenimenti ben più importanti avvenuti nel 68? Perché altre vicende, notevolmente più drammatiche e importanti, non hanno avuto il sopravvento su quell’ondata di protesta giovanile?
Qualche risposta ho potuto averla dal libro Il 68 giorno per giorno, edito da Clichy, in cui l’autore, Roberto Raja, aiuta a rileggere, e a capire meglio, tutti i 366 giorni di 50 anni fa, quindi non solo la famosa estate «in cui nacque l’antiautoritarismo», come capita ancora di leggere. Raja, anche lui provetto storico, senza sminuire l’importanza di quella che viene considerata la rivoluzione per eccellenza di quell’anno, privilegia un’analisi «indiretta» e, soffermandosi molto sul «prima» e sul «dopo» dei moti studenteschi, consente ai suoi lettori di approdare a uno schema oggettivo dei ricordi e dei miti oltre che dei fatti. Il libro è un po’ come un almanacco, pubblicato a distanza di mezzo secolo, in grado di ripresentare con precisione ed approfondire avvenimenti e personaggi ormai dimenticati o comunque spesso sovrastati e condizionati dai cliché della rivoluzione studentesca. La lettura «giorno per giorno» è un replay di tutto quello che è capitato dai giorni dell’Epifania quando il chirurgo sudafricano Christian Barnard effettuava il primo trapianto di cuore, sino alla vigilia di Natale di quell’anno così straordinario, quando gli astronauti statunitensi dell’Apollo 8, orbitando attorno alla Luna per scegliere i luoghi dell’ormai incombente allunaggio, in diretta tv lessero le prime parole della Genesi: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque».
Mi soffermo su questa impresa per due precisi motivi: da una parte perché calò il sipario su tutte le vicende del 1968; dall’altra perché, avendo fotografato e mostrato in diretta televisiva la faccia sconosciuta della Luna, mi ha fatto sorgere il dubbio che anche la storia possa possederne una, in cui deposita o nasconde tanti avvenimenti «minori». Un rimando quasi analogo giunge dalle Olimpiadi disputate quell’anno a Città del Messico. Oggi sono ricordate soprattutto per il gesto, quasi un marchio, dei due atleti statunitensi di colore (il vincitore Tommy Smith e il connazionale John Carlos, terzo) che sul podio dei 200 metri alzano il pugno destro guantato di nero e chinano il capo per protestare contro la discriminazione razziale e le repressioni della polizia nel loro paese. Eppure nello stesso stadio e negli stessi giorni un altro statunitense, Bob Beamon, anche lui di colore, saltò 8,90 m nel lungo «facendo sembrare stupidi il resto dei gareggianti». Ebbene: 50 anni dopo il gesto politico mediatizzato dalle immagini televisive non solo continua a prevalere su quello sportivo, il pugno chiuso di Carlos e Smith, oscurando il balzo di Beamon, ma fa dimenticare anche le violentissime proteste giovanili della capitale messicana!
A pensarci bene lo stesso automatismo può spingere il singolo a mettere al primo posto delle sue attenzioni famiglia e matrimonio, oppure un’intera generazione a mitizzare i movimenti, riuscendo così a segregare sulla faccia nascosta della storia avvenimenti ben più importanti, come successe nel 68 alla repressione della primavera praghese e l’invasione della Cecoslovacchia, preludio del crollo di tante illusioni, prima ancora che di tracolli ideologici. A questo proposito merita risalto lo strappo causato nel rosario rievocativo dall’ex-militante del Pci Rossana Rossanda, allora giornalista testimone e partecipe del maggio parigino: sfoderando tutta la sua onestà intellettuale oggi arriva a rimproverare a quel movimento rivoluzionario di non aver costruito nulla di positivo e di lasciare ai posteri poco o niente.