In questi ultimi mesi oltre a leggere i giornali digitali ho seguito i commenti e le notizie sui social. E confrontando il discorso online con l’agenda tematica dei giornali spesso ho avuto come l’impressione di vivere in due mondi paralleli. Scrive qualche giorno fa la giornalista femminista Silvia Neonato sulla sua bacheca «Che mondo verrà? Rispondono tutti maschi, dodici come gli apostoli. Non ci credete? È la “Repubblica” di oggi, l’inserto culturale chiamato Robinson. Grazie. E dire che buona parte dell’Europa politica e finanziaria è in mano a tre donne. Siamo un Paese terribilmente arretrato. Ma perché non ci arrabbiamo terribilmente? Due domeniche fa l’inserto culturale domenicale de “Il Sole 24 ORE” era identico, due firme di donne su quaranta. Sono inferocita da queste cancellazioni violente».
Provate a guardare le pagine dei quotidiani nostrani e vi accorgerete di come soprattutto in questi mesi lo spazio ai commenti, alle opinioni, agli editoriali in prima pagina siano stati appannaggio dei maschi. Idem nei programmi televisivi della RSI. È infatti nato un gruppo di donne ticinesi chiamato Gender_Covid19, di cui sono venuta a conoscenza sui social, che nel nome delle parità costituzionali si interrogano sul futuro immediato della parità di genere visto che alle conferenze stampa, fra gli intervistati di spicco, negli studi televisivi dei programmi di punta, ovunque si parlasse di emergenza Covid 19, fatto salvo rare eccezioni, c’erano sempre e soltanto uomini. «Fra i tanti nuovi inizi post pandemia auspichiamo vi sia anche quello della visibilità del ruolo delle donne e un decisivo riconoscimento delle competenze». Tra l’altro, duole dirlo, anche la BBC non ha saputo fare meglio, ce lo dice l’inequivocabile articolo del «Guardian»: «Gli esperti maschi dominano gli show d’informazione durante la crisi del coronavirus». Secondo lo studio dell’Expert Women project (EWP) della City University of London, il numero degli esperti uomini invitati nei programmi è stato tre volte quello delle donne sia in TV che in radio. La disparità maggiore si è registrata all’inizio, quando ancora si ragionava sulla strategia da adottare. In quel caso tutti i politici o i consiglieri proposti dal governo per intervenire nelle trasmissioni erano uomini. Nella fase del lockdown invece, quando i giochi erano fatti e l’attenzione dei media si è spostata sulle cure sanitarie, la disparità è diminuita.
Quello che voglio dire con questi esempi (ce ne sono molti altri come il flash mob virtuale #DateciVoce per chiedere più competenze femminili nella task-force voluta da Conte) è che sui social, per fortuna, o comunque in Rete spesso nascono narrazioni, spazi, piazze di dibattito e confronto che esulano dall’agenda mainstream e sono però vitali per la società civile. È stupefacente come alcuni media ancora si illudano di poter essere gli esclusivi gestori dell’informazione. Senza voler nulla togliere alla competenza e all’autorevolezza di nessuno il messaggio è chiaro: chi non cambia, chi non è in grado di dare voce alla società tutta, di rappresentarla nella sua interezza, diversità e complessità, chi non è in grado di capire che le competenze delle donne sono indispensabili in qualsiasi ambito e in qualsiasi momento, non deve stupirsi se l’agenda all’improvviso viene stravolta, se perde lettori (spettatori, ascoltatori) o non conquista l’attenzione dei più giovani.
È tempo di accettare l’idea che la realtà non può essere spiegata o raccontata soltanto attraverso le lenti maschili. Le giornaliste competenti e capaci in questo Cantone non mancano, oltre a fare il lavoro di cucina delle notizie o di redazione, dovrebbero firmare i pezzi in prima pagina, scrivere gli editoriali, condurre i programmi di punta e perché no, dirigere una testata.Interessante negli Stati Uniti il progetto di un gruppo di quattro giornaliste professioniste (tra queste la fondatrice Emily Ramshaw, ex direttrice della start up di informazione digitale The Texas Tribune e Amanda Zamora editor digitale, responsabile del prodotto e della strategia del pubblico per «ProPublica» e il «Washington Post»), una nuova testata digitale di politica e di informazione. Si chiama «The 19th» come il diciannovesimo emendamento della Costituzione americana che è stato il culmine dei movimenti per il suffragio femminile negli Stati Uniti. Cento anni dopo, l’emendamento è stato adottato il 18 agosto 1920, nasce una nuova testata digitale che intende portare avanti il lavoro iniziato. Torneremo a parlarne. Il mondo va avanti e le donne ci saranno.