Le chiusure invisibili

/ 10.05.2021
di Lina Bertola

Si apre? Ma quando si apre? E perché ancora non si apre? Di questi tempi la parola apertura è diventata il generatore simbolico di molti significati, un orizzonte di senso condiviso per leggere e per interpretare le vicende e le attese che attraversano questo nostro inedito presente. Certo, di una bella parola si tratta, una parola che indica il desiderio di dare più spazio alla vita. Una parola che sa aprire la nostra immaginazione anche su orizzonti sconfinati, proprio come quell’insettone strano con le zampe allargate che abbiamo potuto vedere recentemente in tanti video e che in realtà era l’ombra di un minuscolo elicottero in volo su Marte. Quell’immagine è diventata una potente metafora: aprirsi ad un cielo che finora non ci apparteneva.

Così, l’apertura di terrazze e musei, di biblioteche, cinema e palestre, attesa, desiderata, rinviata, può essere lo specchio di un bisogno e di un desiderio esistenziali più profondi, lo specchio di un’apertura dell’animo. Guardiamo allora dentro questo specchio perché forse proprio nella sua luce riflessa possiamo capire una cosa importante, ovvero che il mondo comincia dentro di noi e da quel nostro luogo intimo possiamo reimparare a vederlo. Reimparare, sì, perché il mondo ci appare oggi tutto esibito nella sua ineluttabile presenza, un presente su cui spesso percepiamo di non avere più molta presa e rischia perciò di diventare insignificante, incapace di interpellarci sul senso delle cose. Perché l’insignificanza non è tanto nella mancanza di senso delle cose, quanto piuttosto nella mancanza del desiderio di ricercarlo. È qui che nasce il disincanto provato da molte persone, anche da tanti giovani che si aprono alla vita, come mostrano alcune attuali ricerche psicologiche.

Questo disincanto, che spegne le domande e ci consegna all’indifferenza, può provocare altre chiusure, ben al di là di quelle, pur dolorose, di ristoranti e luoghi vari di aggregazione. Chiusure della mente e del cuore; chiusure verso i volti, i colori e i profumi della vita che potrebbero sorprenderci e invitarci ad andare oltre; e chiusure anche verso il volto e la parola dell’Altro che facciamo fatica a riconoscere come parte di noi. Rischiamo così di portare a spasso tante solitudini, soli in mezzo a tanti altri, tutti in attesa di aperture di spazi e luoghi, fragile promessa di nuovi improbabili incontri. Perché è di altre aperture che abbiamo davvero bisogno. Di quelle aperture che abitano gli strati più profondi della nostra umanità, quei luoghi intimi in cui ci sentiamo davvero a casa nostra. Abbiamo bisogno di accogliere nella nostra dimora interiore ciò che ci attende sull’uscio giorno dopo giorno. Accoglierlo per farlo risuonare in noi. Come accade alla parola che invita il silenzio come luogo del suo ascolto, o come accade alle note di un concerto quando riescono a reinventare la loro musica dentro un animo che desidera accoglierle, apertura è riconoscere e sentire le nostre risonanze interiori quando camminiamo nella vita, quando incontriamo l’Altro, sul lavoro, nei sogni e perché no, anche su terrazze finalmente aperte. 

Il filosofo Hartmut Rosa ha riflettuto molto sul valore dell’esperienza della risonanza come risorsa per contrastare il vuoto e l’indifferenza che a volte si impadroniscono delle nostre vite. E a ragione sottolinea l’importanza di entrare in una relazione di reciprocità con il mondo. Sentire la presenza del mondo dentro la propria pelle, reimpararne le voci, lasciando andare le sue mute evidenze.

«Nulla vale la durata di una vita / ma se mi alzo e divoro con un urlo il mio tempo di respiro / lo faccio solo pensando alla tua sorte (…) mia aperta poesia / che mi scagli al profondo / perché ti dia le risonanze nuove». Questa poesia di Alda Merini è come un canto, un canto innamorato del risuonare in noi della vita, straordinaria sorgente di apertura.

Ancora una volta, situazioni inattese, che continuano a metterci alla prova, si offrono come una possibile occasione per entrare più in contatto con noi stessi, allo specchio del nostro modo di vivere e di convivere. Situazioni difficili che possono diventare occasioni per porci qualche buona domanda, sempre che abbiamo voglia di ascoltarla.

Eccone una: perché i ristoranti chiusi ci preoccupano di più delle chiusure del cuore e della mente? I ristoranti chiusi sono ben visibili, le porte del cuore e del pensiero restano, e per fortuna, invisibili. Eppure sono proprio queste chiusure invisibili che ci rendono più fragili, incapaci d’interrogare e di comprendere il nostro malessere di fronte alle difficoltà del presente.