Tradizionalista o fan del nuovo, ordinato o confusionario, ostentatore o riservato, amante del pieno o del vuoto: sono le categorie in cui tutti, da inquilini o da proprietari, ci si può riconoscere. Le hanno stabilite gli psicologi, decifrando il linguaggio più ricorrente nelle nostre abitazioni. E non con l’intento di valutare, dal profilo estetico, le cose belle o brutte di un ambiente arredato, come spetta ai critici d’arte. Per verificare, invece, qual è il nostro rapporto con lo spazio quotidiano più frequentato, la casa appunto, dove si lascia un’impronta rivelatrice. Si tratta di un materiale d’indagine a disposizione degli psicologi, da cui è nato un filone specialistico, diffuso in Germania e oltre Gottardo: quello del cosiddetto Wohnpsychologe, figura professionale che sta conquistando ascolto e autorevolezza. In termini scientifici risponde al più popolare «dimmi come abiti e ti dirò chi sei».
Il tema diventa attuale, proprio in autunno, quando la casa ritrova la sua piena funzione di rifugio protettivo. Con effetti evidenti sul piano commerciale. Lo confermano cataloghi e pagine pubblicitarie a iosa che ci propongono, in particolare, divani, poltrone, letti, cuscini, plaid, lampade. Sono pezzi d’arredo tipicamente stagionali, destinati a una funzione pratica necessaria. Ma non soltanto.
Un paio di settimane fa, sulla «Sonntagszeitung», Uwe Linke, quotato esponente della psicologia applicata all’abitazione, spiegava come mobili, oggetti, forme e colori, compongono un quadro di vita che racchiude un’intimità, condizionata però da innumerevoli influssi esterni. Mode e ideologie agiscono, visibilmente, sulle scelte abitative lasciando tracce riconoscibili per l’osservatore professionista. Che citava, per esempio, la diffusa nostalgia dei cittadini per la campagna. Si ritrova in particolari di tipo rustico: gli inserti di sasso o mattonelle, intorno al caminetto, le ruote di carretti a uso lampadario, i paioli di rame. Mentre il tavolo di legno massiccio o addirittura il mobile d’epoca testimonia la scelta del conservatore, che vuole cose resistenti: l’arredo, dunque, per una vita. Per contro, il creativo si lascia tentare dalla moda del momento, osando accostamenti di colori e materiali che producono tensioni o invece armonia. «Un puristico sofà bianco, secondo Linke, ha qualcosa di respingente, sembra dire non toccatemi». Ed è il rischio che corrono i patiti del «firmato»: la sedia, ispirata al Bauhaus, bella ma forse scomoda.
Il rigore stilistico, al pari dell’ordine maniacale possono sfociare in freddezza, in minimalismo, da cui affiora la propensione al vuoto. Vi fa riscontro la tendenza al pieno. Ciò che, secondo lo psicologo, definisce due tipologie umane ben distinte. Chi si circonda di molte cose conferma un bisogno di vicinanza, di contatti con gli altri, di vissuto condiviso. Chi seleziona o rifiuta gli oggetti si distanzia dalla collettività, seleziona o rifiuta anche le persone da accogliere in casa.
A questo punto si deve, inevitabilmente, citare Gillo Dorfles che, da grande anticipatore, denunciò un paradosso tipico della società consumista, parlando appunto di «horror vacui» e «horror pleni». Come dire, ci si circonda di oggetti che, poi, si buttano. È un incessante accumulare e sostituire alla rinfusa. Si assiste, insomma, «alla perdita affettiva per l’oggetto che va di pari passo con la perdita affettiva per il proprio territorio e habitat e conduce a spaesamento e alienazione». Per poi concludere: «Bisogna imparare a distinguere fra feticcio buono e cattivo. Bisogna circondarsi di cose con cui dialogare».
Si apre, qui, un aspetto d’ordine culturale, una lacuna da colmare. Farsi una casa, arredarla, adattarla a nuove necessità familiari comporta, oltre all’impegno finanziario, in Svizzera particolarmente gravoso, una consapevolezza sociale e ambientale, spesso trascurata.
Richiama l’attenzione su questa responsabilità, nei confronti del territorio e della sua storia, un recente saggio di Mario Botta, sul «Corriere della Sera», destinato ai giovani. S’intitola, infatti, L’architettura spiegata ai nostri figli. E non solo a loro. In forma di gioco, che divertirà i ragazzi, spiega cos’è il «modulor» di Le Corbusier. Ma quanti sono, poi, gli adulti che ne conoscono il significato? Ed è anche agli adulti che si rivolge questa lezione: «L’esigenza di una casa implica l’adattarsi alle condizioni della natura e del vivere in una collettività». In definitiva, non è soltanto nostra.